Non profit

Il giornalista che sfida le cosche

Parla Sergio Taccone, premio Cutuli 2009 grazie a due inchieste su immigrazione e droga

di Lorenzo Alvaro

Tra i vincitori del Premio Internazionale di Giornalismo “Maria Grazia Cutuli” 2009, l’inviata del Corriere della Sera uccisa in Afghanistan nel 2001, c’è il giornalista siciliano Sergio Taccone corrispondente del quotidiano La Sicilia e autore di inchieste sulle rotte dell’immigrazione e sul traffico di droga.
Taccone si è aggiudicato il premio col saggio-inchiesta “Dossier Portopalo: Il Naufragio fantasma, verità a confronto” . Un libro in cui viene ricostruita, in ogni particolare, la tragica vicenda del naufragio in cui persero la vita, la notte del Natale ’96, quasi 300 migranti.
Taccone spiega a Vita cosa significa  essere un giornalista d’inchiesta in Sicilia
 
Vita:
Lei è siciliano, di dove?
Sergio Taccone: Si sono di Siracusa
 
Vita: Ha una famiglia?
Taccone: Sono sposato con una figlia, una bambina.
 
Vita. Domanda di rito: perchè ha deciso di fare il giornalista?
Taccone: È una passione che risaliva all’adolescenza. Sono diventato effettivamente giornalista un po’ tardi. Ho cominciato con il giornalino parrocchiale e cose piccole, poi nel 2001 il quotidiano la Sicilia cercava un corrispondente dalla provincia siracusana e dal marzo 2001 è diventato per me un lavoro
 
Vita: Alle inchieste come approda?
Taccone: A giugno dello stesso anno fu ritrovata la nave del Naufragio di Natale Io partii dal ritrovamento col mio percorso d’inchiesta. Lo scoop vero in realtà è del Manifesto che se ne interesso sin dal 1997.
 
Vita: Ha mai ricevuto pressioni o minacce?
Taccone: Direttamente mai. In seguito però ad un servizio che abbiamo fatto sul consumo di droga da parte dei giovani ho ricevuto alcune intimidazioni.
 
Vita: Cos’è successo?
Taccone: Mi hanno tagliato le gomme dell’auto. Mi hanno fatto trovare un arpione in una delle ruote e mi hanno urinato sui sedili. Un’altra volta si sono accaniti nuovamente sull’auto, questa volta sfondandomi i vetri. Non mi sono mai sentito abbandonato però. I miei colleghi e l’ordine mi sono sempre stati vicini.  Questo conforta molto.
 
Vita: Dopo le denuncie le hanno dato una scorta?
Taccone: No nessuna scorta. Avendo però fatto denuncia, una volante della polizia pattuglia casa mia e ele zone limitrofe tutte le sere
 
Vita: Cosa cambia sapere di correre dei rischi?
Taccone: Siccome non sono da solo, ho una famiglia, vivo la preoccupazione per mia moglie e mia figlia. Sono paure comprensibili alimentate dalla consapevolezza che dove opero io, nella zona sud della provincia siracusana, manca quella forma di micro sicurezza che dovrebbe invece essere assodata. Spesso capitano atti vandalici. Mai un arresto. I cittadini si chiedono sempre in chi devono avere fiducia quando li intervistiamo. Qui le forze dell’ordine sono viste esclusivamente come posti di blocco per multare il giovane senza casco. Niente di più.
 
Vita: Parla di preoccupazione per quel riguarda la quotidianità e i cari ma invece sul lavoro la consapevolezza di un rischio cosa comporta?
Taccone: No, non cambia nulla. Di certo non mi fermo perchè mi hanno danneggiato la macchina. Sarebbe assurdo. A quel punto cambio lavoro. Sono rischi che ci sono e si accettano
 
Vita: Perchè decidere di correrli questi rischi?
Taccone: Qualcuno lo chiama il sacro fuoco del giornalismo. Ma io credo che sia un motivo più semplice. C’è di fondo una determinazione nell’affronatare questa professione con dignità cercando di tenere la testa alta. E lo dico senza nessuna ipocrisia. Chi approccia il giornalismo in questo modo, in certe zone della Sicilia, questi rischi li corre. vanno accettati. Io sono molto cerdente, sono un cattolico praticante e quindi mi affido al signore.
 
Vita: C’è stata in Italia una vera e propria guerra con la mafia. Non è servita a nulla, è rimasto tutto come prima?
Taccone: I successi dello stato sono stati tanti, dal 1992 in avanti. Però quello che va evidenziato, dal mio punto di vista di corrispondente di un piccolo quotidiano di provincia, è che quello che viene a mancare è la sicurezza del cittadino comune. I soprusi quotidiani, i danneggiamento, le piccole minacce. In tutto questo non c’è una risposta da chi dovrebbe mantenere l’ordine. Certo alcuni fatti sono solo di delinquenza comune, ma un’altra parte è sicuramente riconducibile alla mafia. Oggi il cittadino comune è sfiduciato perchè non è tutelato da questi micro eventi che da lui sono percepiti come macro.  
 
Vita: Cosa vuol dire per lei fare il giornalista da siciliano in sicilia oggi?
Taccone: Significa avare coraggio, cercare di svincolarsi dal potere politico, cercare di avere rispetto dei lettori e tenere sempre la testa alta. Spesso questo è molto difficile qui da noi.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA