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Il Gheddafi show e il talento per gli affari

di Redazione

Hostess. Ebbene sì, ero fra gli invitati della Presidenza del Consiglio alla cena romana in onore degli accordi italo-libici e del leader della Rivoluzione Gheddafi. Del resto non eravamo pochissimi, essendo quasi mille persone. E quindi mi stupisce il tono generale di molti commenti, spesso ironici, sul dirimpettaio della Sicilia. Qui non si tratta di giudicare moralmente il leader politico e neanche le sue idee religiose o culturali, per non parlare dei difficili esami di democrazia, quasi impossibili per un dittatore. La vera posta in gioco è un accordo fra due Paesi firmato ormai due anni fa e che sicuramente rappresenta qualcosa di molto positivo. Voi critici di Gheddafi, vorreste che l’Italia fosse più rigida dei suoi alleati nella Nato, pur essendo il Paese più prossimo? Non pensate che accordi come quello firmato da Silvio Berlusconi non possano che giovare alla stessa causa di una modernizzazione/ moderazione dell’Islam? Certo, Gheddafi ha propagandisticamente rivolto appelli alla conversione ad un pubblico di ragazze (peraltro hostess pagate allo scopo). È questo il punto? E se dovessimo giudicare moralmente gli altri capi di Stato e di governo, che cosa dovremmo dire? E poi: siamo davvero sicuri che vorremmo impedire la propaganda altrui o non pensiamo che l’Occidente sia innanzitutto libertà?
Parto. Un episodio assurdo che non può essere raccontato (solo) come malasanità. Nella sala parto di un ospedale di Messina, si discute dei destini di una paziente. Scoppia una lite, anche violenta, fra ginecologi. Lite avvertita anche dai parenti della donna, e dopo la quale tutti vengono fatti allontanare. Alla fine alla giovane donna viene praticato un taglio cesareo. Il bambino ha subìto due arresti cardiaci e si temono danni cerebrali, mentre alla donna è stato asportato l’utero in seguito ad un’emorragia. I due ginecologi sono stati sospesi cautelativamente, il ministro della Salute Fazio si è recato in visita a Messina, scusandosi per l’accaduto. Ora una inchiesta penale accerterà i fatti.
Rom. Si chiamava Mario, è morto a tre anni arso vivo dall’incendio della sua baracca. Campo nomadi abusivo di Roma, via Luigi Ercole Morselli alla Magliana. Il fuoco si è sviluppato da alcune candele che i genitori, rom venuti da Brescia nella Capitale, hanno raccontato di avere acceso per tener lontani i topi dai vestiti dei bambini. Il fuoco però non ha dato scampo a Mario, la cui morte ha suscitato una grande impressione. Un esponente dell’episcopato italiano è arrivato, nell’occasione, a ricordare l’olocausto che gli zingari subirono sotto il nazismo.

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