Leggi

Il gene diviso

Tutti uniti nel combattere gli organismi geneticamente modificati. Invece divisi davanti ai referendum che aprono agli esperimenti sugli embrioni.

di Sara De Carli

Strano clima, quello del referendum: sembra quasi di essere al Congresso di Berlino. I confini tra le parti vengono tracciati con riga e squadra, laici da una parte, cattolici dall?altra, e chi assume posizioni che sparigliano le appartenenze fatica a sganciarsi dalle etichette. Il mondo degli ambientalisti invece c?è riuscito alla grande, con posizioni che vanno dai quattro Sì di Pecoraro Scanio all?invito all?astensione di Giannozzo Pucci e Carlo Ripa di Meana, tra scelte personali e critiche politiche. «È la dimostrazione che le nostre battaglie non sono ideologiche o antiscientifiche», ammette con soddisfazione Ivan Verga, direttore del Consiglio dei diritti genetici, l?organismo che monitora le implicazioni sociali e ambientali delle biotecnologie. «Nel nostro staff nessuno si astiene, e io personalmente voterò quattro Sì. Sono per lasciare la libertà di accedere a queste nuove tecnologie, ma come sempre sarò pronto a contestare chi vorrà eccedere: continuiamo ad essere contrari alla clonazione umana e all?utilizzo di materiale genetico nelle nanotecnologie». Appunto, i famosi organismi geneticamente modificati? perché sul grano no e sull?embrione sì? Non vale anche qui il principio di precauzione? «Certo che vale, e infatti siamo qui apposta per controllare gli sviluppi della situazione, ma in questo caso prevale la scelta individuale», continua Verga. Concorde con il ragionamento anche Luca Colombo, autore del libro Produzione di cibo e sovranità alimentare: «Le tecniche di procreazione assistita sono semplicemente uno strumento per facilitare il processo naturale della riproduzione, non modificano il patrimonio genetico delle persone! Con gli ogm si parla di manipolazioni genetiche che producono effetti inquietanti sulla salute e un enorme problema di governance». E Antonio Onorati, da anni in prima linea contro l?utilizzo delle biotecnologie in campo agricolo e alimentare, afferma: «Personalmente voterò quattro Sì, in nome della libera scelta delle donne. Poi è chiaro che nutro molte preoccupazioni, soprattutto sulle terapie geniche e sul loro utilizzo al vivente: la nostra conoscenza in questo settore è ancora embrionale, non c?è nessuna assicurazione sulle conseguenze anche generazionali di queste tecniche. Esattamente come per gli ogm, ritengo che ci sia una grossa differenza tra la conoscenza della biologia molecolare e il suo utilizzo, ma starei attento a non porre tutta questa continuità tra il settore agricolo e quello della procreazione medicalmente assistita». Stesso mondo, stesse premesse, e c?è chi invece la continuità la vede eccome. E trae conclusioni opposte. A cominciare da Michele Boato, direttore dell?Ecoistituto del Veneto, che più di un mese fa si è fatto promotore di un appello per votare No al primo quesito, firmato tra gli altri anche da Livio Giuliani e Carlo Rienzi: «Stiamo assistendo a una contraddizione palese ed enorme: è ridicolo difendere l?identità genetica delle piante e poi disinteressarsi di quella dell?uomo», ribadisce Boato. «E non mi dicano che in questo referendum non è in gioco nulla di tutto questo: con lo slogan ?libertà di ricerca? si vuole ottenere proprio la libertà di manipolazione genetica. In questo senso il primo quesito ha delle conseguenze epocali», continua Boato. E perché la scelta del No piuttosto che l?astensione? «È una scelta di coerenza: due anni fa, al referendum sull?elettrosmog, abbiamo detto che invitare all?astensione era una scelta politicamente diseducativa». Recentissimo invece l?invito all?astensione da parte di due guru dell?ambientalismo come Giannozzo Pucci e Carlo Ripa di Meana: «?Non consegnare il futuro a Frankenstein?, lo slogan delle campagne anti ogm, non può non valere anche per l?essere umano. L?appello fa leva proprio su questo: la coerenza e la continuità. Giannozzo Pucci le riassume così: «Le nostre battaglie hanno dimostrato che il rispetto della natura non può prescindere da due fattori: la cultura del limite e il principio di precauzione. Due cose che la procreazione assistita certo non considera. Noi siamo esseri incarnati, è ovvio che tutto quello che riguarda il nostro corpo ci tocca immediatamente: per esempio c?è un nesso tra inquinamento alimentare e infertilità. E ricordiamo che c?è un male che va oltre a quello che ?ci fa male?, agli effetti negativi a livello di salute: creare un ambiente artificiale addirittura attorno all?inizio della vita non può essere qualcosa di buono per l?umano». Pucci si spinge molto più in là, a mettere in discussione la pratica stessa della fecondazione assistita. Cita i nomi del gotha dell?ambientalismo mondiale e dei movimenti no global: Vandana Shiva, Naomi Klein, Maria Mies, Jeremy Rifkin, tutti schierati contro le nuove tecniche riproduttive.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA