Provo a mettere in fila adesso, mentre i giochi si stanno compiendo, le mie sensazioni di persona che della politica ha vissuto sempre e solo la dimensione della passione, dell’impegno, del servizio, del rapporto fra società civile e rappresentanza istituzionale. Sono passato attraverso i momenti bui di questa Repubblica, quando si poteva ragionevolmente temere una svolta autoritaria, sotto la spinta eversiva di un terrorismo spesso teleguidato da menti che agivano nell’ombra. Oggi, di fronte all’atteggiamento strano, per certi versi sorprendente, della direzione nazionale del Pd, ho la sensazione che qualcuno, là dentro, abbia davvero paura che siamo vicini all’ultima spiaggia della democrazia così come in qualche modo si è dipanata negli ultimi decenni.
Non frequento ormai da molti mesi il mondo della politica militante, concentrato come sono, e opportunamente, in un ruolo di rappresentanza attiva dei diritti delle persone con disabilità, e di informazione giornalistica su tutto quanto, attorno alla clamorosa negazione di tali diritti, avviene ogni giorno nell’indifferenza, nella quasi totale invisibilità. Ho maturato personalmente la decisione di non essere più disponibile a impegnarmi in competizioni nelle quali soltanto il consenso già consolidato attraverso l’appartenenza alle élites della politica o il censo permettono di fatto il successo elettorale, in un sistema che in modo molto ipocrita mantiene una parvenza di partecipazione reale.
Fatte queste premesse, mi rendo conto che ormai il futuro è quello scritto dal sindaco di Firenze, qualunque cosa questo rappresenti. La sua scommessa, dirompente e quasi sfacciata, chiude definitivamente i giochi di un Parlamento strano, tripartito, ingovernabile. Riuscirà a governare? Non lo sappiamo, è presto per dirlo. Penso che ci riuscirà, al momento. Non so se sarà il nostro Tony Blair, che però veniva dopo la Thatcher, non dopo Enrico Letta. Lo sfinimento nazionale è profondo, la sfiducia talmente diffusa da essere patologica fino al parossismo verbale.
Di fronte a questa situazione la società civile non può rimanere neutrale, e neppure accodarsi al carro del vincitore pro tempore. Occorre riprendere vigore di interlocuzione senza sconti, perché sappiamo bene che non esistono governi amici, anzi, quelli che sembrano più vicini spesso si rivelano, nei comportamenti concreti, lontani mille miglia dalle esigenze reali dei cittadini più fragili, dando per scontata la loro condivisione quasi “ideologica”. Il Partito Democratico è oggi qualcosa di molto ibrido, non rappresenta certo il sentimento di base di un popolo che ancora potremmo definire “di sinistra”.
Ci sono troppe incrostazioni vecchie e nuove, personalismi, vendette trasversali, conti in sospeso (i famosi 101 misteriosi affossatori della presidenza Prodi). Non è possibile fidarsi, neppure per chi vuole continuare a esercitare virtù zen. In buona sostanza adesso occorre osservare, come in uno show, che cosa sarà capace di fare Matteo Renzi, in Parlamento, nei rapporti con il Presidente della Repubblica, con le opposizioni, con Berlusconi, con il Movimento 5 stelle. Una crisi extraparlamentare ancora una volta decide delle nostre vite, delle leggi che aspettiamo, dei conti che dobbiamo regolare con la convivenza civile.
Il “terzo settore” (sic!) può svolgere un ruolo determinante nell’immediato? Io non credo, penso anzi che mai come adesso sia indispensabile difendere un’autonomia di pensiero e di rappresentanza sociale, pronti a fornire stimoli, proposte, contenuti, a difesa di chi in questo momento non ha alcuna voce in capitolo. Ossia quasi tutti noi. Chi più chi meno.
Una cosa è sicura: Matteo Renzi ha coraggio, si stima tantissimo, ed è convinto di vincere. Ha una squadra giovane di persone determinate e fresche, difficilmente possono fare peggio di chi li ha preceduti. Ma c’è un problema: non può fallire. E’ condannato a vincere. Come è accaduto, per 20 anni, a Berlusconi.
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