Non profit

Il futuro è plurale e noi lo siamo già

Intervista a Luigi Bobba, presidente delle Acli. Inizia così un ciclo di interviste ai protagonisti del Terzo settore per riflettere sulle prossime sfide del non profit italiano

di Giuseppe Frangi

Sorride Gigi Bobba. Ed è davvero difficile sorprenderlo senza quel suo sorriso. Inutile chiedergli il perché: semplicemente è contento di quello che è, di quello che fa, degli amici che si trova attorno. Lui è presidente delle Acli, e il compito di guidare questo bastimento di “cristiani lavoratori”, non lo spaventa. Non lo spaventa il fatto che quelle due categorie, cristiani e lavoratori, possano sembrare eredità di un passato senza un grande futuro: la secolarizzazione ha cambiato cuori e facce della cristianissima Italia e di gente in tuta blu se ne vede e vedrà sempre meno.
Vita: Tempi duri per le Acli?
Luigi Bobba: No, sono contento del tempo in cui vivo. E poi un cristiano non può lamentarsi del suo tempo. Perché la nostalgia è un esercizio inutile e poi perché il tempo è sempre un dono. Bisogna essere propri ingrati per disprezzare ciò che ci viene donati.
Vita: D’accordo. Ma 40 anni fa, per esempio, era un’altra cosa. Le Acli nuotavano nel loro mare…
Bobba: Questo è vero ed è sotto gli occhi di tutti. Oggi non c’è nulla di scontato: le migliaia e migliaia di persone che incontriamo ogni giorno per rispondere ai più disparati bisogni, antropologicamente non sono più figli di una società naturaliter cristiana. Il contesto è completamente cambiato, L’importante è avere la passione e l’intellitgenza di sintonizzarsi sui nuovi contesti senza perdere la propria matrice.
Vita: Una matrice che è ben impressa nel nome. Ma quel nome non rischia di essere una zavorra?
Bobba: E’ la sottolineatura che ci aveva fatto Wolfgang Sachs a un nostro convegno. Vorrei però ribattere, innanzitutto che prima di quella “c” e di quella “l” c’è una “a”, che è un fattore di grande modernità.
Vita: In che senso?
Bobba: Che quella “a” è al plurale. Noi siamo le Acli, non l’Acli, anche se tendono a chiamarci, erroneamente in quel secondo modo, forse perché la complessità fa paura. E “a” sta per associazioni. Siamo una pluralità di associazioni con una forte autonomia. E’ una sigla che contiene in nuce il principio di sussidiarietà: essere insieme una realtà associativa e una rete di autonomie.
Vita: Veniamo invece alla “c”.
Bobba: Certamente oggi i cristiani sono un piccolo gregge. E il deposito della memoria è ben lungi dall’essere l’elemento guida della società: i valori dominanti sono altri. In un contesto così ci si potrebbe rifugiare nella tentazione minoritaria, come se essere pochi fosse meglio che essere tanti. E’ una tentazione da cui mi auguro di restare lontano. Noi non siamo un retaggio della storia.
Vita: E allora cosa siete?
Bobba: Siamo un’esperienza di vita. Oggi non ha più senso parlare di ispirazione cristiana e poi non credo alla fede come foro della coscienza interiore. Fare le Acli (mi piace questo verbo a cui si accompagna spesso il nostro nome: “fare”), è un’esperienza formativa della persona. Ho in mente l’esempio di un grande presidente delle nostre associazioni, restato purtroppo nella memoria per l’infausto esito della sua scelta politica, Livio Labor. Lui diceva che la vita associativa è il luogo santificazione. Per me sono parole guida.
Vita: D’accordo con il rifuggire dalla tentazione minoritaria. Ma non le sembra che la chiesa di oggi ecceda all’opposto in trionfalismo?
Bobba: Se i media accendono tanti riflettori sulle vicende della chiesa credo che un motivo ci sia: in giro non c’è molto d’altro di altrettanto bello e straordinario da raccontare. Ho avuto una figlia di 15 anni che è andata il 6 gennaio alla chiusura del Giubileo, e ne è ritornata felice. Questo conta, per lei come per altre migliaia di persone. Certamente, questi sono momenti straordinari. Poi restano i tanti momenti ordinari della vita di ciascuno, e lì la sfida si fa più difficile.
Vita: In che senso?
Bobba: Che l’ambiente ti porta da un’altra parte. Che le carte sono tutte mischiate e quando le persone si prentano a noi per i loro bisogni individuali, il nostro compito è anche quello di trovare parole nuove, di rinominare in altro modo le parole antiche. Un mio amico, Claudio Gentili, che era responsabile giovanile delle Acli e oggi lavora in Confindustria, mi ha raccontato che stava lavorando a un libro sui vizi capitali e ha provato a farlo leggere a suo figlio. Gli è servito per capire che quel termine “vizi capitali” non diceva più niente. Così ha cambiato il titolo del libro in Le multinazionali del cuore, pensando che così lo avrebbe comperatoa anche un ragazzo di 20 anni. Ha rinominato una cosa antica in modo che possa far breccia nel presente.
Vita: Ora ci manca la “l”…
Bobba: Credo che coltivare la dimensione della socialità tra gli individui ci proietti verso concezioni del lavoro molto avanzate. Oggi i confini saltano, mi piace la formula elaborata da Ulrick Beck di “lavoro di impegno civile”. Le distanze tra professione, volontariato, attività familiari si riducono, gli incorci tra un ambito e l’altro crescono. Si moltiplicano le differenze, per cui diventa più complicata la tutela, perché spesso si tratta della tutela dei saperi che il lavoratore si porta appresso. Come dice Darhendorf, ci vorrebbe uno “stato sociale portatile”.
Vita: Le Acli agli inizi degli anni ’90 sono state tra le promotrici dei referendum per il bipolarismo. Dieci anni dopo ne siete pentiti?
Bobba: No, anche se questo bipolarismo ha deluso. Ha portato a un eccesso di personalizzazione della politica, ha fatto prevalere le ragioni elettorlaistiche su quelle di programma.
Vita: Il suo amico Sergio D’Antoni ha rotto il fronte dei poli. Come giudica la sua scelta?
Bobba: Ha colto un disagio reale. Ma è una buona intenzione che rischia di essere bruciata sull’altare della scadenza elettorale…
Vita: Il meccanismo della rappresentanza è uscito malconcio dalla svolta bipolare…
Bobba: Faccio mio un ragionamento di Amato. E’ la costituzione che previlegia le forme di partecipazione alla politica. Ma nel frattempo una talpa ha scavato e la capacità di rappresentanza della politca appare quanto mai sfibrata. L’autorganizzazione del sociale è cresciuta, la stessa funzione pubblica non è più appannaggio esclusivo dell’istituzione. Nei fatti è cresciuta una forma di rappresentanza che va oltre la politica ma che la cosituzione non contempla.
Vita: Ma non c’è anche una volontà di non contaminarsi con la politica?
Bobba: In effetti, da una parte l’associazionismo si sente migliore perché lavora per il bene comune, dall’altra ci sentiamo figli di un dio minori, incapaci di uscire da una cultura della subalternità. Invece la nostra azione è già politica, va ad influenzare l’agenda della politica.
Vita: Ad esempio…
Bobba: Alcune leggi della recente legislatura sono anche frutto dell’azione e della presenza del Terzo settore, come quella dell’assistenza. E una legge è importante per le conseguenze che ha e per la mentalità che determina.
Vita: E un prossimo obiettivo?
Bobba: Investire sul capitale umano. Cioè dare soldi perché le persone investano su se stesse. Come dice Emilio Gabaglio, ora la formazione dura tutta la vita.

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