Economia
Il futuro di Cgm? «Saremo l’Hub del social business»
«L’obiettivo è coinvolgere i giovani e non è detto che il format più adeguato sia sempre quello cooperativo». Intervista al presidente Stefano Granata
di Redazione
Circa 1,5 miliardi di euro di fatturato aggregato (dopo l’ingresso di Altromercato), 40mila addetti, 65 consorzi territoriali distribuiti in tutte le regioni in rappresentanza di 766 imprese sociali (cooperative sociali, ma anche srl) fanno del Gruppo cooperativo Cgm, la maggiore rete produttiva ita- liana in ambito sociale. Un network che si ritroverà a Forlì i prossimi 5 e 6 ottobre per celebrare i suoi primi 30 anni di vita. Il forlivese Gino Mattarelli — da cui il consorzio prende il nome — è stato uno dei pionieri della cooperazione socia- le, sia come parlamentare, sia come dirigente cooperativo. Intorno a lui e al bresciano Giuseppe Filippini si è stretto il primo nucleo dirigente nazionale che, a partire dalla metà degli anni Ottanta, ha cominciato a immaginare concreta- mente la Costituzione del Consorzio (nato come Cgm, Consorzio Gino Mattarelli un anno dopo la sua morte). Il primo presidente fu Felice Scalvini, attuale assessore al Welfare a Brescia. Dopo di lui vennero Livia Consolo, Johnny Dotti, Claudia Fiaschi. Da quattro anni le redini sono in mano a Stefano Granata, che terminerà il suo secondo man dato nel 2019. Milanese, 54 anni, sposa- to con tre figli, Granata entra nel mondo della cooperazione sociale a 25 anni. «Vengo dal Giambellino, che allora era una delle piazze di spaccio più grandi in Europa. Lì nel mio quartiere la cooperativa sociale Spazio Aperto era il punto di riferimento per il recupero dei tossicodipendenti. Così mi avvicinai a loro prima come semplice operatore, poi come coordinatore». Dopo di che Granata fondò la coop di tipo A Spazio Aperto Servizi, che portò nel consorzio Sis di cui nel 2005 divenne presidente. L’approdo nel cda di Cgm è invece datato 2009 sotto la presidenza Dotti.
Com’è cambiata in 30 anni Cgm?
Lavorare in rete è una scelta fondamentale per massimizzare l’impatto economico e sociale delle nostre realtà. Una necessità che era evidente già 30 anni fa, anche se per ragioni differenti. Oggi il format della cooperativa sociale non può più essere efficiente come lo era in passato. Per questo occorre trovare altre formule: stiamo lavorando affinché Cgm diventi un vero e proprio Hub dell’impresa sociale. Un’evoluzione che però si colloca nel solco di una tradizione: quella di essere sempre e comunque innovativi, di buttare il cuore oltre all’ostacolo.
Una scelta certamente coraggiosa, ma che non sempre ha dato i risultati attesi. Pensiamo per esempio alle difficoltà che ha avuto un’iniziativa sulla carta vincente come Welfare Italia. Oggi il mantra è l’impresa sociale, ma non è detto che basti la qualifica per avere successo. Non crede?
Lei ha citato Welfare Italia su cui qualche errore è stato commesso, ma se pensiamo all’invenzione delle reti consortili o alle aggregazioni verticali come le filiere sulla psichiatria, sugli anziani o sui disabili o ancora a esperienze co- me l’Agenzia per il lavoro CooperJob e Cgm Finance devo dire che il rischio vale la candela. Essere innovativi per noi è essenziale. È la nostra ragion d’essere. Se oggi mi chiedo perché un’impresa sociale “deve” aderire a Cgm la risposta che mi do sta proprio nella nostra capacità di prefigurare il futuro. È grazie a questo humus che oggi stiamo costruendo società di filiera nel turismo, nel food, nell’agricoltura sociale. E lo stiamo facendo senza mai perdere il nostro legame con le comunità. Un tratto che ci ha sempre caratterizzato e che non dobbiamo perdere.
Lei ha parlato di Cgm come un Hub imprenditoriale. La funzione di rappresentanza rimane quindi in secondo piano, malgrado la vostra diffusione territoriale?
Non è quello il nostro target principale. Tenga conto che a Cgm possono aderire tutte le imprese sociali a prescindere dalla loro provenienza, che sia questa targata Legacoop o Federsolidarietà/Confcooperative. Storicamente poi siamo un interlocutore più della politica locale che di quella nazionale. In qualche modo quella di non schierarsi è stata anche una scelta, che forse in certi frangenti abbiamo pagato, ma che ci ha lasciato le mani libere. Detto questo il nostro focus rimane imprenditoriale. Oggi la sfida è quella di coinvolgere i giovani. La partita si vince su questo terreno.
A Forlì presenterete anche alcune esperienze esemplari. Cosa distingue un’impresa sociale di successo rispetto alle altre?
La vocazione e le competenze imprenditoriali. Le differenze geografiche nord-sud oggi sono molto sfumate: si può avere successo in Piemonte come in Sicilia, a patto di sapere parlare anche con mondi esterni ai tradizionali circuiti della cooperazione sociale. Una capacità che Cgm ha sempre dimostrato di saper mettere in campo.
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