Formazione
Il futuro delle Penny Wirton in una scrittura collettiva
Le sessanta scuole Penny Wirton fondate da Eraldo Affinati e Anna Luce Lenzi, si sono riunite a Roma per un'assemblea nazionale. Insegnanti, volontari, migranti uniti in queste scuole che sono una vera occasione di riscatto. Una giornata in cui ha preso vita un vero atlante di emozioni e un vero saggio di scrittura collettiva. Ecco come è andata
Le scuole Penny Wirton, geniale intuizione di uno scrittore ed insegnante, Eraldo Affinati, e di sua moglie Anna Luce Lenzi, sono ormai più di 60, germinate senza strombazzamenti e senza finanziamenti, ma su una potente onda di vero volontariato, quello di tanti (migliaia) insegnanti in pensione oppure con ancora qualche ora libera dalle incombenze anche burocratiche della scuola italiana, e di migliaia di ragazzi, volontari o inseriti in percorsi di Ptco (Percorsi Trasversali per le Competenze e l'Orientamento). Una mission chiara, semplice: insegnare gratuitamente italiano ai migranti.
Sabato 17 giugno tutte le scuole rhanno risposto alla chiamata del raduno nazionale (il 6° in 15 anni di storia), in via De Dominicis (a Casal Bertone, quartiere periferico protagonista di alcune riprese di Mamma Roma di Pasolini) arrivano da un po’ tutta Italia, a gruppetti, insegnanti e alunni, ragazzi immigrati da ogni parte del mondo che stanno imparando la nostra lingua. In via De Dominicis si scende una rampa per arrivare ai garage dove ha sede la Penny Wirton di Roma, uno spazio concesso da Regione Lazio. Chi non ce la fatta (tanti non hanno ottenuto il permesso del “padrone” neppure il sabato) si collega tramite piattaforma digitale in una fascia oraria pomeridiana.
Eraldo Affinati, apre così l’incontro: “Penso di parlare a nome di tutti noi. Ho pensato che quelle 600 persone se non fossero annegate a Pylos forse qualcuno sarebbe venuto nelle nostre scuole a imparare l’italiano. A noi, più di tanti altri, colpiscono queste stragi del mare, ci feriscono. Io la sento come un’ustione sulla pelle. Oggi parleremo e useremo le nostre parole anche per loro. La morte nel Mediterraneo è una tragedia avvenuta nell’inattività e nell’indifferenza delle autorità politiche: i burocrati incravattati a Bruxelles continuano ad andare da una parte all’altra ma ieri il trattato di Dublino ha compiuto 33 anni e a oggi è rimasto inalterato, fermo”, ha proseguito Affinati. “Alla Penny Wirton, nel nostro piccolo facciamo azioni concrete. Con piccoli numeri ci contrapponiamo a questo sistema: non possiamo considerarci democratici oggi se non entriamo personalmente in azione. E lo facciamo tutti i giorni – ha concluso – insegnando l’italiano: è il nostro modo di contrapporci a questa barbarie, è la nostra proposta politica, o forse prepolitica, il nostro è un gesto semplicemente umano. Per noi è oggi un giorno di festa ma anche di riflessione e ricordo”.
Forse proprio per questo la sua non è stata una chiamata celebrativa ma di lavoro, ad ogni scuola è stata affidata una parola. Lavoro, Giustizia, Democrazia, Speranza, Memoria, Ponte, lingua, Responsabilità, Guerra, Futuro, Rischio, Cuore, Sorriso, Scuola, Italia, Barca, Dio, Cura, Tenerezza, Bambini. Una parola per ogni scuola a cui è stata poi lasciata libertà di elaborazione, poesie, racconti, individuali o collettivi, video.
Una vera “Scrittura collettiva” la battezza giustamente Eraldo Affinati, evocando don Lorenzo Milani. Che scriveva: "Noi dunque si fa così: Per prima cosa ognuno tiene in tasca un notes. Ognivolta che gli viene un’idea ne prende appunto. ogni idea su un foglietto separato e scritto da una parte sola. Un giorno si mettono insieme tutti i foglietti su un grande tavolo”.
Il grande tavolo delle Scuole Penny Wirton ribolle di storie: c’è Serge della Costa d’Avorio che sulla parola “Futuro” dice semplicemente: «Vorrei una donna, una casa e dei figli» e il suo insegnante Lucio Battistini si commuove. C’è Sakib, 28 anni dal Bangladesh che è orgoglioso perchè ha la media dell’8 e ringrazia gli insegnanti. Alfa dalla Guinea Bissau è arrivato su un barcone da bambino, oggi ha un’azienda agricola che funziona: “Non lo faccio solo per me ma anche per la mia sorellina che sepro venga presto in Italia”.
Giustizia: dice Faereh, iraniana, “Nel mio Paese le ingiustizie sono scritte persine nella Costituzione, per questo sono scappata perchè le prime vittime sono le donne. Ho dovuto lasciare tutto”. Hasna, dal Qatar, ha 32 anni ed è in Italia da cinque “Senza giustizia non si può vivere in pace”, e Mamouna (Senegal): “Giustizia è dare a tutti la possibilità di realizzarsi”.. Poi ancora Ikele dalla Nigeria, Samir dal Pakistan, Buba dal Gambia come Favar che non ha ottenuto il permesso per venire a Roma ma invia attraverso padre Daniele, comboniano, un bellissimo dipinto. Sulla parola Memoria c’è Usman del Kashmir che racconta del suo villaggio a 4.000 metri e del lungo cammino per andare a scuola e Abdullah, afgano che racconta il suo viaggio via terra di 7 mesi per raggiungere l’Italia, un racconto in un italiano perfetto.
Una giornata di nomi e storie, di parole e di riscatto. Del resto Il nome della scuola richiama il titolo di un grande romanzo per ragazzi di Silvio D’Arzo (1920 – 1952), Penny Wirton e sua madre (Einaudi 1978), che ha come protagonista un bambino povero e disprezzato, il quale non ha mai conosciuto suo padre e, dopo una serie di prove, conquista, nonostante innumerevoli fatiche, la propria dignità, grazie anche all’aiuto del supplente della scuola del villaggio. Il nome Penny Wirton indica proprio la possibilità di un riscatto, innanzitutto grazie alla lingua.
Impossibile raccontare di tutto, è un “vero atlante di emozioni”, dice Eraldo Affinati che annuncia che la Penny Wirton sbarca anche nelle carceri ad Ancona e a Parma. Lo ha annunciato così: “Formeremo detenuti italiani a insegnare la lingua italiana ai detenuti immigrati in due istituti penitenziari. Abbiamo già incontrato la direttrice del carcere di Parma che ci ha dato l’ok e attendiamo l’ok da Ancona”, ha detto Affinati. “È una cosa molto bella e forte soprattutto in una condizione particolare, di isolamento delle persone. Ci sono tante associazioni che già operano sul territorio italiano e con cui collaboriamo perché cercano in noi una sorta di legittimazione”.
Insomma, l’onda della Penny non si ferma e cresce. In questi anni si è elaborato un metodo e dei sussidi didattici originali, libri di testo appositi.
Il metodo di insegnamento “uno a uno”, un insegnante volontario e uno studente migrante, praticato alla Penny Wirton, consente di mettere al centro la persona e accompagnarla realmente – attraverso la comprensione dei suoi bisogni – all’apprendimento e all’emancipazione dall’insegnante. E quindi a una vera inclusione nei territori e nelle comunità in cui vivono gli studenti migranti quotidianamente.
Anna Luce Lenzi, fondatrice della Penny Wirton, nel corso dell’assemblea ha spiegato: “Il metodo ‘uno a uno’ significa considerare la persona per quello che è: la bellezza è interpretare e riuscire a trovare la soluzione. Quando abbiamo cominciato abbiamo fatto un sacco di errori. Avevamo le nostre attese, non sapevamo che gli egiziani non capiscono il verbo essere perché non lo hanno. Non avevamo idea che ci fossero tanti giovani, ma anche adulti, analfabeti. Per gli analfabeti, soprattutto per le donne analfabete, ci vuole molto tatto. Bisogna farli sentire a loro agio altrimenti non funziona. Si tende a pensare d’istinto che abbiano dei problemi di apprendimento o dislessia. Non hanno nessun problema nella maggior parte dei casi, semmai il problema siamo noi che non capiamo i bisogni per favorire l’apprendimento. E non abbiate fretta di vedere i nostri risultati ma abbiate pazienza di vedere i loro risultati”.
Foto di Luisa Monforte e Riccardo Bonacina
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.