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Il futuro dell’Africa? È nelle imprese cooperative agricole

L'intervista a Camilla Carabini, direttrice di Coopermondo. «Lo sviluppo è sostenibile quando garantisce le stesse opportunità di partenza a tutti, quando non lascia nessuno indietro e assicura i diritti fondamentali. Per questo non può che essere cooperativo»

di Marco Marcocci

Secondo i dati della Banca Mondiale, nel 2030 nove persone su dieci che vivono in estrema povertà si troveranno in Africa Sub-sahariana, dove l’agricoltura è la principale fonte di sussistenza. In agricoltura, il modello di impresa cooperativa migliora l’accesso ai mercati e al credito, consente di sfruttare i vantaggi delle economie di scala, di eliminare gli intermediari e ridistribuire la ricchezza ai produttori e ai territori che l’hanno generata. Anche per questo la cooperazione avrà sempre più un ruolo fondamentale nel processo verso uno sviluppo sostenibile. Ecco cosa ne pensa Camilla Carabini, direttrice di Coopermondo.



Come interpreta lo sviluppo sostenibile la ONG da lei diretta?
Lo sviluppo è sostenibile quando garantisce le stesse opportunità di partenza a tutti, quando non lascia nessuno indietro e assicura i diritti fondamentali. L’Agenda 2030 segna una svolta paradigmatica nella concezione dello sviluppo e ci insegna che lo sviluppo non è più una linea retta che va dal nord al sud del mondo ma un concetto poliedrico, con molte facce. Lo sviluppo riflette storie e culture differenti: non potrà mai esistere una soluzione che vada bene per tutti. E noi dobbiamo trovare il modo di valorizzare questi diversi approcci, avendo ben chiare le mete che vogliamo raggiungere: sicurezza alimentare, adeguato accesso all’acqua, rispetto dell’ambiente, riduzione dell’emissione di CO2…

Lei è intervenuta al convegno “Seminiamo il futuro dell’Africa. Il contributo delle cooperative agro-alimentari per la cooperazione internazionale allo sviluppo” durante il quale, si è più volte parlato dell’ananas Dolcetto. Ci racconta la sua storia?
In Togo, Coopermondo, Federcasse e un Pool di banche di credito cooperativo dal 2012 portano avanti un progetto per promuovere l’agricoltura sostenibile e la finanza inclusiva. Con formazioni, assistenza tecnica e microcrediti erogati a istituzioni locali, abbiamo accompagnato la creazione di oltre 150 imprese cooperative. Tra queste, la CPJPPAB (Coopérative Préfectoral de Jeunes Producteures Professionnels d’Ananas Biologique) che rappresenta 1018 giovani agricoltori, di cui un terzo donne, che coltivano circa 500 ettari di ananas biologico. In una missione di assistenza tecnica abbiamo coinvolto il responsabile vendite e marketing di una nostra cooperativa associata. Lui ha scoperto questi ananas particolari e con il fiuto dell’imprenditore ha capito che poteva esserci un mercato in Europa. Oggi Dolcetto potrebbe diventare il primo caso di una cooperativa trans-nazionale: la proposta è che i soci togolesi possano diventare membri a tutti gli effetti della cooperativa in Italia diventando parte di un’unica grande famiglia e potendo così trarne tutti i vantaggi.

Coopermondo è la ONG di Confcooperative. I vostri progetti sono tutti simili a questo del Togo?
Coopermondo lavora come ONG tradizionale per contribuire a sconfiggere la povertà, proponendo la creazione di imprese cooperative e sociali per un’economia radicata sui territori, sostenibile e dignitosa. Coopermondo diffonde la filosofia cooperativa come strumento di fare impresa, con un team di economisti, antropologi e tecnici ambientali e attraverso l’expertise della rete di esperti di Confcooperative, con formazioni e assistenza tecnica sostiene la nascita di nuove imprese cooperative in paesi in Africa e in America Latina. Coopermondo opera inoltre come ONG di sistema diffondendo la cultura della cooperazione internazionale tra le imprese cooperative in Italia e favorendo la nascita di relazioni tra le organizzazioni nei paesi partner e le cooperative associate a Confcooperative.

In che modo e in quali altri Paesi operate?
In Colombia lavoriamo in più di 7 dipartimenti, promuovendo l’imprenditorialità cooperativa nei settori dell’agricoltura, del turismo e della moda. In Senegal, stiamo accompagnando più di 50 giovani ad avviare le proprie attività imprenditoriali e promuovendo la nascita di imprese coinvolgendo la diaspora e i migranti di ritorno. A Capo Verde facciamo formazioni sull’impresa cooperativa come strumento per far uscire l’agricoltura dall'economia informale. In Mozambico, siamo partner di CEFA e Granarolo in un ambizioso progetto per il rafforzamento di 3 cooperative di allevatori per creare una filiera lattiero – casearia, anche se il Ciclone Idai ha devastato la città di Beira e ad oggi non possiamo prevedere se non attività di emergenza. In tutti questi paesi cerchiamo di rendere ogni persona, a partire dal nostro team, consapevole del proprio valore, della propria identità e dignità affinché possa diventare l’attore dello sviluppo della sua persona e della sua comunità nel rispetto dei diritti umani e convinti che la diversità tra culture rappresenta sempre una ricchezza.

Lei è un’economista e antropologa. Come si coniugano queste due discipline?
Ho studiato Economia alla Bocconi di Milano e poi Antropologia alla Sapienza di Roma. Credo molto nell’unione di queste due discipline. Da una parte l’economia permette di garantire sviluppo e far crescere nuove imprese, ma deve urgentemente ritrovare e valorizzare le sue radici di scienza umana; dall’altra, l’antropologia è lo sguardo critico sul mondo, che insegna a non limitarsi alla superficie ma approfondire le narrative e valutare il punto di vista degli altri. Ho scelto un lavoro che mi permettesse di impegnarmi quotidianamente per costruire un futuro inclusivo, sostenibile e resiliente per le persone e per il pianeta. Sono felice delle responsabilità che mi hanno voluto attribuire.

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