Economia

Il futuro della gig economy? È cooperativo

Non ha dubbi Paolo Venturi, direttore di Aiccon: «con la sentenza della Cassazione che impone per i riders lo stesso trattamento dei dipendenti suboridinati i grandi player che facevano profitto grazie al lavoro a basso costo vedono il proprio modello andare in crisi. Si aprono così scenari molto interessanti per il platform cooperativism che può essere la risposta passando dall'idea di low cost a quella di low price»

di Lorenzo Maria Alvaro

Anche i rider devono godere delle stesse tutele previste per il lavoro subordinato. La Cassazione ha infatti respinto il ricorso di Foodora contro la sentenza con cui la Corte d'appello di Torino aveva riconosciuto a cinque ex rider parità economica rispetto ai lavoratori subordinati del settore della logistica, con tredicesima, ferie e malattie pagate. «Al verificarsi delle caratteristiche delle collaborazioni» individuate nell'articolo 2, comma 1, del Jobs Act, «la legge ricollega imperativamente l'applicazione della disciplina della subordinazione», si legge nella sentenza. Una novità che avrà un impatto importante sulla gig economy e che pone una domanda sostanziale: un modello che fa dello sfruttamento del lavoro a basso costo il proprio vantaggio competitivo è sostenibile quando quel vantaggio competitivo venisse meno? Ne abbiamo parlato con il direttore di Aiccon, Paolo Venturi.


Qual è la grande novità che introduce questa sentenza?
Di fatto dice che non c’è una terra di mezza tra autonomi e lavoro subordinato. Non esiste una terza via. Si è arrivati al dunque. Prima ci sono state delle carte territoriali, come quelle di Bologna e Napoli, sui diritti dei riders che provavano a spingere i grandi player e migliorare al trattamento dei lavoratori. Adesso c’è addirittura una sentenza che sancisce che il trattamento, anche se vengono considerati lavoratori autonomi, deve ricalcare la tutela dei subordinati. L’orizzonte apre a due grandi sfide: una è contrattuale e l’altro imprenditoriale.

Cominciamo da quella contrattuale…
Ci sono dei passi da fare enormi dal questo punto di vista. È inutile guardare a questi lavori prescindendo dalla tipologia d’impresa. Sono aziende che nella misura in cui dovessero allineare i propri lavoratori a lavoratori tradizionali non sono più in grado di essere competitive e quindi sono persone che perderanno il lavoro. Sono modelli di business costruiti sul fatto che è l’app che gestisce le persone. Le persone sono un flusso in cui per altro la continuità lavorativa non è interessante. Una distopia che va corretta.

Quali passi?
Abbiamo i sindacati che devono aprirsi a una nuova generazione di contratti che, se da un lato devono certamente garantire una serie di elementi di tutela, dall’altro non possono essere ancorati ad un uso del tempo tradizionale. Se si va a parlare con questi lavoratori si scopre che per loro la temporaneità di questi impieghi come un valore. I sindacati sono chiamati a inventarsi nuovi contratti ibridi che cambiano filosofia e non si basa più sul paradigma del salario per tempo.

La seconda grande sfida?
Il problema si può affrontare dal punto di vista dei contratti, come dicevamo, altrimenti si deve guardare al modello di impresa. E qui un neo mutualismo può essere la risposta. Perché questo tipo di tutele si possono avere se sei socio. Si passa dall’app che gestisce le persone alle persone che sono proprietarie dell’app. Si chiama in causa fortemente, quando si parla di gig economy, il tema della governance. Una cooperativa di rider potrebbe essere la soluzione al problema. E in Europa esistono già degli esempi. Esiste la Fédération Europèenne CoopCycle a cui partecipano diverse città europee. Si va da Grenoble a Madrid, passando per Liège, Montpellier e Poitiers. Se a Bruxelles c'è la cooperativa Molenbike a Barcellona ex rider di Foodora hanno creato Mensakas mentre a Verona c’è Food4Me, una cooperativa di riders nata con il supporto di Confcooperative Verona e Cisl.

Ma perché per le grandi compagnie le tutele e il costo del lavoro diventano un problema mortale e invece per una cooperativa non sono un’obiezione alla competitività?
Il fatto di essere socio è dirimente. Naturalmente va pensato come. Ma un conto essere solo dipendenti o essere anche imprenditori. Come tutti i soci di una coop di produzione lavoro potresti avere le tutele necessarie e puntare su un modello non costruito sul low cost ma sulla logica di low price. In cui il prezzo rimane relativamente più basso e quindi concorrenziale ma non c’è sfruttamento e la battaglia sul mercato si giocherebbe sul tema dei diritti: stimolando quello che Leonardo Becchetti chiamerebbe spesa con il portafoglio. Naturalmente non basta che i rider si auto organizzino

Cosa manca?
Il cambiamento dello scenario chiama fortemente in causa la cooperazione che non può esimersi dall’essere protagonista. Il platform cooperativism deve prendere piede: abbiamo bisogno di costruire sin da subito delle piattaforme mutualistiche che siano tecnologiche. Non esiste solo il mondo dei rider. Quello è solo un piccolo pezzetto di gig economy. Si stanno aprendo gradi possibilità e nuovi bisogni. Vanno intercettati.

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