Politica

Il futuro dei Corpi civili di pace, appuntamento a Strasburgo

Di fronte all’aggressione russa contro il popolo libero ed indipendente di Kiev, tutti cerchiamo verità e giustizia, da qualsiasi parte vediamo il conflitto. Ma esattamente di quale verità e giustizia stiamo parlando?

di Angelo Moretti

La verità ha una dinamica chiara da dipanare: si accertano i fatti di violenza oggettivamente commessi da colpevoli bene individuati. Pertanto, con la richiesta della verità, vogliamo che si faccia chiarezza sugli eccidi che si stanno perpetrando in un territorio che la Comunità internazionale, Cina compresa, riconosce come ucraino.

Con l’accusa della Corte Penale Internazionale a danno di Vladimir Putin, e di una sua funzionaria impegnata nella “rieducazione russa dei bambini ucraini” e nelle “adozioni forzate”, ad esempio, una prima forma di affermazione della verità si sta facendo spazio. Poco conta se l’incriminato della CPI verrà o meno assicurato alla giustizia o che Russia ed Ucraina non abbiano sottoscritto la convenzione per la CPI prima della guerra. Ciò che importa è che un frammento di verità si stia facendo strada nell’opinione pubblica mondiale. Qualcuno criticherà “l’arbitro” dicendo che è venduto o corrotto? Succede sempre, ma ciò conta è che esistano degli atti da rivedere “alla moviola” ed un giudice internazionale super partes che indaghi sui crimini di guerra, chiunque li abbia commessi.

Quando parliamo della giustizia, invece, quale giustizia esattamente stiamo cercando? La morte dell’aggressore, la sola fine dell’aggressione, il ritorno allo stato ex ante, la conservazione di un nuovo status quo?

Amartya Sen, nel suo saggio sulla giustizia di qualche anno fa, distingue la giustizia “niti” da quella “nyaya” (1). La prima è la giustizia teorizzata da Rawls, ed ancor prima dagli illuministi, alla continua ricerca di “istituzioni perfettamente capaci di amministrare la giustizia”, un atteggiamento che Sen chiama “trascendentismo istituzionale”. La giustizia nyaya , invece, è la giustizia che concretamente vive dentro le società umane, un’istanza che avanza per gradi, non per affermare “una giustizia perfetta”, ma per ridurre le ingiustizie presenti.

Noi europei, fratelli di un popolo che ha apertamente dichiarato di voler essere parte della famiglia europea, cerchiamo una giustizia niti o nyaya ?

I nostri governi, offrendo assistenza tecnica ed armamenti all’Ucraina, stanno agendo come si amministra tradizionalmente la niti in tutto il mondo: far discendere il rispetto del diritto violato dall’uso della forza (Bobbio). La società civile, invece, può fare contemporaneamente qualcosa di “altro”, che vada in direzione naja?

Come Movimento Europeo di Azione Nonviolenta partiamo oggi verso l’Europarlamento, a Strasburgo, per chiedere a diversi gruppi parlamentari di convocare quanto prima una “Conferenza Europea sui criteri per la istituzione e per la operatività dei Corpi Civili di Pace Europei” da svolgersi in una città Ucraina. Siamo convinti che una Conferenza del genere sia una risposta possibile, necessaria ed urgente.

La giustizia niti non arriverà per tempo a difesa degli ucraini, come degli afghani, dei libici, dei siriani, degli yemeniti, o forse non può arrivare mai, perché nell’era atomica e del liberismo sfrenato, privato o di Stato, una istituzione globale come quella auspicata da Norberto Bobbio, che detenga da sola la forza e l’autorevolezza per essere unica potenza deterrente contro la violenza degli orsi dotati di armi nucleari, non esiste. Nello scenario multipolare già attivo da diversi decenni, in cui le alleanze occidentali, i Brics e le leghe arabe, si contendono pezzi sempre più corposi di influenza e di occupazione del pianeta, le potenze atomiche sono diverse, ma la deterrenza non sembra più godere della stessa “stima” della guerra fredda. Dopo l’aggressione russa non sappiamo che fine faranno i tanti risicati equilibri di “prima” ed il rischio che lo scacchiere delle potenze nucleari riporti l’Europa ad essere una cortina di ferro sembra una delle concrete possibilità in gioco.

Di fronte all’impasse della niti, non siamo però condannati all’immobilismo. Possiamo fare avanzare una giustizia nyaya, una progressiva riduzione delle ingiustizie e delle violenze, attraverso un nuovo protagonismo europeo. Secondo gli attivisti e le attiviste del Mean questo potrà accadere solo se la pace avanzerà come “un corpo” e non più come “un’idea”.

Kant stesso nella “pace perpetua” chiarì che il bene supremo degli uomini non è la pace ma la libertà: la pace è solo una tappa necessaria e non sufficiente del progresso umano. Noi europei siamo donne e uomini già liberi, veniamo da settant’anni di pace e possiamo agire per ciò che la storia ci chiama a fare e ad essere oggi. Definiamo, a partire dal nostro drammatico oggi, come l’Europa potrebbe essere superpotenza di pace per i prossimi secoli.

Si può fare? Secondo noi “si deve fare adesso”.

Non servirà mai uccidere un orso per dire di essere al sicuro. È chiaro invece che dobbiamo reimparare a convivere con le minacce atomiche, che sembravano sopite, e far avanzare gli anticorpi civili per il cambio degli scenari che hanno reso possibile la guerra in Ucraina. L’idea che siano eserciti sempre più potenti a tenere liberi i nostri nipoti dalle violenze non è più un’ipotesi credibile per nessuno. È tempo di provare strade nuove.

I Corpi Civili di Pace, sempre accennati timidamente dopo la grande proposta di Alex Langer nel 1994, e mai veramente attivati, escano dalla retorica di un’Europa idealista in continua “formazione e sperimentazione” ed entrino nella carne viva di un mondo in conflitto, che ha un grande bisogno del sogno europeo, ma anche di una pratica. Si prevede all’orizzonte una prima forma di “esercito europeo” nel 2025? Bene, allora prevediamo fin da adesso che l’UE si doti di un corpo civile di pace che sia quanto meno finanziato e sostenuto nella stessa misura.

(1) Niti è la giustizia in sé (Justitia), mentre Nyaya è un giudizio pratico su una situazione concreta e quindi mai perfetta e sempre in rapporto ad un'altra (Iustitium). (si legga A.K. Sen, L'idea di giustizia, Mondadori, Milano, 2010)

Nella foto di cove la sede del Parlamento europeo di Strasburgo

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