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Italian Fundraising Award Young

Il fundraiser? Regala al donatore un momento di felicità

Gabriele Ferretti, 37 anni, genovese, coordinatore dell'area lasciti e grandi donatori di Aism, è il vincitore della prima edizione dell'Italian Fundraising Award Young. «Quando è il momento giusto per chiedere? Un fundraiser lo sa».

di Sara De Carli

Gabriele Ferretti (1)

Gabriele Ferretti, il vincitore della prima edizione dell’Italian Fundraising Award Young – Ferrovie dello Stato Italiane, “da grande” non voleva fare il fundraiser: voleva fare l’attore. Classe 1987, genovese, laurea in filosofia con una tesi su Piero Martinetti, c’è un fil rouge che ha sempre tenuto insieme i molteplici interessi di Gabriele: la passione di “leggere” tutte le sfumature dell’animo umano, con le sue emozioni, i sentimenti, le ragioni profonde che muovono le azioni. Un “talento innato”, certificato dal fatto del tutto inusuale che Gabriele alle elementari leggeva già Memorie dal sottosuolo di Fëdor Dostoevskij. Ferretti lavora come fundraiser nell’Associazione Italiana Sclerosi Multipla – Aism dal 2016 e dal 2020 coordina le attività di raccolta fondi da lasciti e grandi donatori. La cerimonia di premiazione dell’Italian Fundraising Award sarà martedì 4 giugno a Riccione.

Gabriele, ci racconta un po’ di lei?

Prima di tutto sono un appassionato di cinema, da sempre: amo i film di tutti i tipi, è una cosa che mi ha passato mia madre. Il mio sogno è sempre stato quello di fare l’attore, lo sapevano tutti… Ho fatto anche dei corsi di recitazione, avevo “il piglio”. Poi però ho capito che l’attore non lo potevo fare per lavoro… così mi sono iscritto a filosofia.

Che non è esattamente tra le lauree più richieste dal mondo del lavoro… Mi permetto l’ironia perché è la stessa facoltà ho scelto io.

Filosofia è l’altra mia grande passione. Dopo la laurea ho anche iniziato un percorso accademico, ma mi mancava l’apertura alla realtà esterna, mi sembrava un mondo troppo autoreferenziale. Così mi sono buttato nel Terzo settore. La filosofia però mi serve tantissimo anche oggi…

Come?

Nella capacità di leggere le sfumature dell’animo umano, nell’empatia. Io sono sempre stato un osservatore attento delle dinamiche umane. Anche da bambino ho sempre amato osservare le persone e un po’ indovinarne le storie. Ero ancora alle elementari quando mia mamma mi ha regalato Memorie dal sottosuolo con una dedica bellissima: “A Gabriele, appassionato osservatore dei meandri dell’animo umano”. L’empatia nel mio lavoro è un punto di forza, penso sia alle relazioni con i grandi donatori sia a quelle con una persona che intende fare una promessa di lascito…

Veramente ha letto Memorie dal sottosuolo alle elementari?

Sì.

L’empatia nel mio lavoro è un punto di forza, penso sia alle relazioni con i grandi donatori sia a quelle con una persona che intende fare una promessa di lascito…

Gabriele Ferretti, Aism

Oltre all’empatia, cosa è fondamentale nel suo lavoro di tutti i giorni?

La cura della relazione. Cerco sempre di non perdere di vista di vista il lato umano, anche quando mi pongo degli obiettivi da raggiungere: se l’obiettivo lo raggiungi ma ti perdi le persone… ti sei giocato la possibilità di un percorso ulteriore, di lungo periodo. Quindi certamente gli obiettivi contano, ma prima vengono sempre le relazioni con le persone. Lo so che può sembrare un’affermazione retorica, ma io ci credo davvero. E forse questo premio inaspettato dice che questa cosa non sta solo nella mia testa, ma ha una sua concretezza… perché ci sono colleghi e persone che un po’ me la riconoscono. Fra l’altro la sorpresa più bella di questo premio è stato proprio l’aver visto tanti colleghi attivarsi: è stata una attestazione di stima e di affetto che ho apprezzato moltissimo. Comunque non è solo una questione di carattere o di “buon cuore”: se ragioniamo su percorsi di lungo periodo collegati a obiettivi di mission, il discorso del team e delle persone è fondamentale, è parte integrante della crescita dell’ente.

Torniamo al suo percorso professionale. Con la laurea in filosofia che ha fatto?

Ho iniziato a lavorare in una cooperativa, mi occupavo di migranti e richiedenti asilo: seguivo una struttura di accoglienza, i percorsi di formazione e di inserimento lavorativo… Lì ho capito l’importanza che ha il denaro, perché avremmo potuto fare cose meravigliose se avessimo avuto più risorse: ma i soldi mancavano sempre.

A quel punto arriva il fundraising?

A quel punto un’amica stava facendo il Master in Fundraising dell’Università di Bologna e lo raccontava come un’esperienza straordinaria. Ho lascito la cooperativa e il mio lavoro a tempo indeterminato e mi sono iscritto. Era il 2016. È stato un anno meraviglioso, davvero. Ho conosciuto persone fantastiche.

Così ha iniziato a fare il fundraiser…

Sono entrato in Aism qui a Genova per lo stage del master. È una realtà che conoscevo già per via mia nonna e facevo anche il volontario. Per me qui è iniziata una nuova vita, piena di soddisfazioni. Sono entrato subito nell’ufficio che si occupa di lasciti e grandi donatori, lo stesso ufficio che oggi coordino. Ho trovato capi e colleghi che mi hanno permesso di crescere.

A me piace stare al telefono per ore con una persona che sta pensando di fare una promessa di lascito, sono uno che ascolta. La relazione è la parte del mio lavoro che mi piace di più.

Gabriele Ferretti, Aism

Perché ha scelto i lasciti?

Io su questo ho sempre avuto le idee molto chiare: volevo fare fundraising relazionale. A me piace stare al telefono per ore con una persona che sta pensando di fare una promessa di lascito, sono uno che ascolta. La relazione è la parte del mio lavoro che mi piace di più. Ovvio che c’è anche tutto un aspetto di acquisizione di nuovi donatori attraverso campagne omnichannel che richiedono delle competenze tecniche… ma il momento più bello per me è quando arriva la telefonata in cui una persona ti comunica il suo desiderio di pensare a un testamento solidale e lì inizia una relazione. Questo lavoro non ti stanca mai perché ogni storia è diversa dall’altra. Conoscere le persone con i loro vissuti è un’esperienza di una ricchezza pazzesca…

Si dice che un fundraiser non deve mai avere paura di chiedere e che se abbiamo un problema è che chiediamo troppo poco. C’è stata una volta in cui è stato difficile farlo?

È vero, la cosa complicata non è il chiedere. Non lo è perché quando arrivi a chiedere significa che hai già fatto un percorso. Devo dire che non mi è mai capitato di ricevere un “no”. È capitato che mi abbiano dato meno di quello che io mi sarei aspettato o che avevo chiesto, ma mai un “no”. Però non bisogna chiedere nel momento sbagliato.

Quando è il momento giusto in cui chiedere? Lo capisci. E quel punto, dentro la relazione che hai costruito, chiedere non è imbarazzante. In quel momento, anzi, tu metti la persona nella condizione di avere un momento di felicità

Gabriele Ferretti, Aism

E come si sa quando è il momento giusto?

Lo capisci. E a quel punto, dentro la relazione che hai costruito, chiedere non è più una cosa imbarazzante, anzi. In quel momento, chiedendo una donazione, tu in verità metti la persona nella condizione di avere un momento di felicità. La persona – se è arrivata fin lì, insieme a te – ha un bisogno di generosità e tu le stai permettendo di esserlo: anzi, glielo stai facendo fare nel modo migliore, su un progetto che le piace, fatto un po’ su misura per lei… Stai dando al donatore la possibilità di essere davvero se stesso.

Lei ha vinto il premio “young”: qual è il messaggio che vuole dare ai giovani fundraiser che hanno appena iniziato?

L’invito a “lanciarsi”, la determinazione di correre dei rischi per trovare veramente il tuo posto. Io avevo una stabilità, che però non mi soddisfaceva… Oggi c’è chi dice “mollo tutto e mi dedico al privato”: è un po’ tutto o bianco o nero. Mentre la verità è che ci sono tante sfumature e ci devi mettere determinazione e coraggio per cercare “la tua”.

Però i giovani devono anche trovare qualcuno che lasci loro spazio. E nel Terzo settore questa cosa ce la ripetiamo spesso…

Sicuramente dentro il “cercare” ciò che ti soddisfa c’è anche la capacità di capire quando le persone non ti riconoscono. Non però come “scusa” per lamentarsi e dare la colpa agli altri, ma come leva per cercare qualcosa di meglio.

Veniamo al “mestiere”. Quanto raccoglie il suo ufficio?

La media degli ultimi anni dell’area Lasciti e Grandi Donatori di Aism, insieme, si aggira intorno ai 3 milioni e mezzo di euro. Una media che per fortuna è in crescita, quindi ci aspettiamo che aumenti. Un altro dato interessante è che grazie alle campagne dedicate negli ultimi anni è triplicato il numero di persone che hanno scelto di inserire Aism o la sua Fondazione nel loro testamento o come beneficiarie di polizze vita.

La media degli ultimi anni dell’area lasciti e grandi donatori di Aism si aggira intorno ai 3 milioni e mezzo di euro. Ed è triplicato il numero di persone che hanno scelto di inserirci nel loro testamento o come beneficiari di polizze vita

Gabriele Ferretti, Aism

Perché si dona?

Perché le persone hanno tutte dentro di sé una parte di generosità, il dono fa parte dell’essere umano. Per lasciare un segno concreto di sé.

C’è un donatore che l’ha sorpresa?

Una volta ho mandato uno dei fiori dell’evento di piazza di Aism a una persona anziana che aveva fatto una promessa di lascito. Lei mi ha richiamato piangendo emozionata, perché questa cosa così piccola l’aveva fatta sentire meno sola.


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