Economia

Il fondo sovranoche detterà leggea Wall Street

Dopo la svolta etica, China Investment Corp alla "conquista" dell'Occidente

di Redazione

Miracoli della finanza d’assalto. La Cina depone le armi. Spegne per sempre sigari e sigarette. E ferma una volte per tutte la roulette del gioco d’azzardo. La nuova rivoluzione culturale d’Oriente si annuncia incruenta, anzi inusitatamente pacifista, poco incline ai dogmi del libretto rosso di Mao e più sensibile alle corde del business internazionale nel segno della Csr.

Il grande annuncio
In mezzo ai colpi di coda della crisi subprime, al bis della terribile depressione del 1929 che oggi fa macerie di banche d’affari, hedge fund e broker di mutui immobiliari, China Investment Corp, il fondo sovrano cinese, ha lanciato la svolta etica del suo mega tesoro da 200 miliardi di dollari, una cifra pari al costo della guerra Usa in Iraq, il valore dell’export dell’India o il Pil del Portogallo. L’ammiraglia delle partecipazioni estere del governo di Pechino ha comunicato per voce del suo presidente, Gao Xiqing, che escluderà dal portafoglio tutti i titoli delle società “cattive”: industrie della difesa, del tabacco e casinò. E non è tutto. Il Cic promette di investire in modo responsabile i suoi quattrini: energia pulita e imprese ad alto standard ambientale. Da bubbone della crescita insostenibile, sulla carta, la Cina che investe si trasforma in uno scintillante fondo etico. Qualche osservatore storce il naso per il paradosso dell’iniziativa: con una mano il governo della Repubblica popolare preme il grilletto, spedendo di fronte al plotone d’esecuzione 5mila persone l’anno, guida uno sviluppo macchiato da inquinamento da record e dalla repressione delle libertà civili, e con l’altra incomincia a ripulirsi il volto con le buone pratiche della Corporate sociale responsability. Immagine e sostanza fanno a pugni.
La posta in gioco è alta. Nel maggio 2007 il Cic ha lanciato il suo primo investimento di peso: 3 miliardi (pari al 9,9% del capitale) puntati sulla ruota di Blackstone, il colosso del private equity che prima della tempesta finanziaria è decollato verso la quotazione sui listini. A dicembre il fondo cinese ha sborsato altri 5 miliardi per dare una boccata d’ossigeno alla banca Morgan Stanley, ricevendone in cambio il 10%, e poi è entrato nel club ristretto dei super azionisti di Visa, China Railway Group e recentemente anche in Barclays, in compagnia di altri fondi sovrani (Qatar e Singapore).

I Paesi ricchi col cappello in mano
Le istituzioni finanziarie occidentali perdono acqua da tutte le parti e bruciano miliardi di seduta in seduta; hanno bisogno di capitali freschi che solo i Paesi emergenti sembrano avere in cassaforte, veicolati appunto dai fondi di investimento statali, che accumulano il surplus generato dalle materie prime e da una crescita impetuosa. Tuttavia i governi del vecchio West non sempre vedono di buon occhio l’ingresso di questi fondi, gestiti spesso da Paesi autoritari, a disagio con la democrazia moderna. Oggi raggranellano capitale, domani conquisteranno un posto in consiglio d’amministrazione. E in un futuro non troppo lontano, Cina, Qatar, Arabia Saudita, Singapore, Kuwait, Russia potrebbero diventare i padroni dei cordoni della borsa dell’Occidente. Germania e Stati Uniti, al contrario della flemma britannica, tuttora fedele al libero mercato e alla filosofia del pecunia non olet, hanno espresso in più occasioni preoccupazione per l’avanzata di questi fondi, cercando di erigere scudi normativa a difesa dell’interesse nazionale. E allora per convincere tutti serve una svolta etica come quella impressa dal China Investment Corp. Perché il salotto di Wall Street val bene una conversione alla Csr.
È scoccata l’ora del capovolgimento del mondo? Forse. E forse si tratta di un cambio di guardia tutt’altro che catastrofico. Almeno non lo sarà, se avverrà all’insegna di investimenti trasparenti, responsabili, capaci di muovere un’economia sociale escludendo la logica del solo profitto.


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