Welfare

Il Fondo Repubblica Digitale? «Un altro nome della lotta alle disuguaglianze»

Debutta il Fondo per la Repubblica Digitale, 350 milioni di euro in cinque anni per migliorare le competenze digitali di base degli italiani. Una scommessa che vede agire insieme Governo e Fondazioni, secondo il modello del Fondo per il contrasto della povertà educativa. I primi due bandi, da 8 e 5 milioni di euro, riguardano Neet e donne. Giovanni Fosti, presidente dell'impresa sociale soggetto attuatore: «In Italia il 46% della popolazione ha competenze digitali almeno di base, al di sotto della media Ue. Il digital divide è un divario di competenze che si traduce subito in un divario di opportunità. Per questo è nato il Fondo»

di Sara De Carli

Trecentocinquanta milioni di euro in cinque anni, per aumentare le competenze digitali di base degli italiani. È questa la dimensione del nuovo Fondo Repubblica Digitale e della omonima impresa sociale che ne sarà il soggetto attuatore, che ha presentato oggi i suoi primi due bandi, dedicati all’upskilling e al reskilling digitale dei NEET da un lato e di donne e ragazze dall’altro. Aumentare le competenze digitali dei cittadini è un obiettivo dai risvolti molto concreti: significa accompagnare le persone verso nuove opportunità, a cominciare da quelle occupazionali. È questo il punto su cui mette l’accento Giovanni Fosti, Presidente del Fondo Repubblica Digitale – Impresa Sociale: «In Italia il 46% della popolazione ha competenze digitali almeno di base, al di sotto della media Ue pari al 54%. Questo dato fa emergere un problema di divario, il famoso digital divide, che è sì un divario di competenze ma che si traduce subito in un divario di opportunità. L’obiettivo non è solo sperimentare nuovi modelli formativi, ma accompagnare l’aprirsi di un nuovo orizzonte per persone che in questo momento l'orizzonte lo vivono come chiuso… Il Fondo Repubblica Digitale nasce per questo».

Presidente, la transizione digitale costituisce un tassello importantissimo della modernizzazione del Paese e anche con il Pnrr l’Italia ci sta investendo molte risorse. A fronte di questa accelerazione (l’Italia ambisce ad essere uno dei paesi di testa in Unione Europea già nel 2026) c’è però il rischio concreto che questa transizione lasci indietro una parte del paese, segnatamente quella più fragile. Il Fondo Repubblica Digitale nasce in questo contesto. Rispetto al fatto che il digital divide indebolisce non solo l’economia e la competitività, ma anche il nostro livello di cittadinanza e democrazia, che consapevolezza c’è oggi?

Il tema centrale è quello che dice. Parlare di competenze digitali è immediatamente un tema di accesso alle opportunità, un tema di uguaglianza oltre che di capacità di crescita di un paese. Il rapporto DESI della Commissione Europea ci dice che in Italia la percentuale di popolazione che possiede le competenze digitali di base è al di sotto della media Eu, siamo al 18° posto su 27 paesi dell’Ue. Questo impatta sulle opportunità occupazionali delle persone dal momento che intelligenza artificiale, data science, cloud computing sono gli assi dello sviluppo delle professioni, con le imprese che cercheranno sempre più persone con competenze digitali. In un momento di grande ricalibratura delle competenze sul mercato del lavoro, è evidente che chi ha competenze digitali avrà più chance di chi non le ha. Ma dall’altro lato questo fa emergere un altro problema del paese, che riguarda l’accettare o meno la disuguaglianza, il consentire o meno di avere persone in condizione di svantaggio o di non accesso alle opportunità. La partnership tra Governo e Acri per l'istituzione del Fondo Repubblica Digitale nasce da questa consapevolezza, ma allo stesso tempo è naturale che tra i nostri compiti ci sarà anche quello di rendere tutti gli attori sempre più consapevoli di quanto c’è bisogno di lavorare su questi temi.

In Italia il 46% della popolazione ha competenze digitali almeno di base, al di sotto della media Ue pari al 54%. Il digital divide è un divario di competenze che si traduce subito in un divario di opportunità. Per questo è nato il Fondo. L'obiettivo è arrivare nel 2026 a consegnare ai policy maker una rosa di progettualità che possano permetterci, come Paese, di fare il salto sull’indice DESI.

Giovanni Fosti, presidente di Fondo Repubblica Digitale – Impresa sociale

Se questo è il quadro, quali target, priorità e linee strategiche ha individuato il Comitato di indirizzo?

Il Fondo Repubblica Digitale è stato istituito con il decreto legge n. 152 del 6 novembre 2021, convertito con modificazioni dalla legge n. 233 del 29 dicembre 2021: è un fondo sperimentale e verrà alimentato da versamenti effettuati dalle fondazioni di origine bancaria a cui è riconosciuto un credito d’imposta. La governance del Fondo prevede un Comitato di indirizzo strategico, un Comitato scientifico indipendente di valutazione e un soggetto attuatore, l’impresa sociale Fondo Repubblica Digitale, partecipato al 100% da Acri. Il Comitato di indirizzo strategico, presieduto da Daria Perrotta, ha individuato i principali quattro target sui quali si concentrerà l’azione dei bandi: l’upskilling e il reskilling digitale dei NEET, volto al loro inserimento lavorativo; l’upskilling e il reskilling digitale di donne e ragazze per migliorare la partecipazione femminile al mercato del lavoro e contribuire a generare un impatto positivo per le pari opportunità; l’upskilling e il reskilling digitale di persone ai margini del mercato del lavoro e l’upskilling di lavoratori con mansioni a forte rischio di sostituibilità a causa dell’automazione. Sono target a particolare rischio di esclusione. I primi due bandi, che abbiamo presentato oggi, selezioneranno e finanzieranno progetti che si rivolgono ai Neet, con 8 milioni di euro e alla qualificazione professionale di ragazze e donne, stanziando 5 milioni di euro.

Cosa caratterizzerà il vostro modus operandi, anche rispetto all’esperienza del fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile e all’impresa sociale Con i Bambini che è l’esplicito “precedente”?

Con i Bambini e il fondo per il contrasto della povertà educativa minorile puntano a creare e sviluppare comunità educanti sui singoli territori. Noi non saremo in gradi di fare un’operazione di vasta scala: mettiamo in campo invece delle risorse per individuare e sperimentare i progetti più promettenti rispetto a due elementi precisi, l’impatto – questo vale anche per Con i Bambini – e la scalabilità, ovvero la possibilità di essere replicati su scala maggiore. Dobbiamo immaginare un percorso per cui alcuni progetti selezionati, dopo aver dimostrato la loro qualità e il loro impatto, verranno ri-sperimentati su numeri più grandi e quindi – terzo step – proposti come policy. La valutazione sarà sulla qualità e sulla scalabilità, contemporaneamente. L'obiettivo è arrivare nel 2026 a consegnare ai policy maker una rosa di progettualità che possano permetterci, come Paese, di fare il salto sull’indice DESI. I soggetti selezionati e finanziati riceveranno parte delle risorse a dimostrazione dei risultati ottenuti, secondo un meccanismo di pay-for-performance e i progetti finanziati, se valutati positivamente, avranno un coefficiente premiale per la partecipazione a bandi successivi. In sostanza chi ha perfomato bene (non semplicemente chi è stato selezionato all’inizio) in base alla valutazione del comitato di valutazione, avrà un accesso privilegiato ai bandi successivi nostri. Infine ci sarà attenzione alla distribuzione territoriale delle risorse per aree geografiche, in modo da garantire una distribuzione territoriale equa. I principi sono questi.

Il Comitato di indirizzo strategico, presieduto da Daria Perrotta, ha individuato i principali quattro target sui quali si concentrerà l’azione dei bandi: l’upskilling e il reskilling digitale di Neet, donne e ragazze, persone ai margini del mercato del lavoro e lavoratori con mansioni a forte rischio di sostituibilità a causa dell’automazione. I primi due bandi riguarderanno Neet e donne

Ci sarà anche qui obbligo di valutazione d’impatto per ogni progetto? Come? Affidata a chi?

Non è previsto che nella partnership di progetto ci sia un soggetto che faccia valutazione d’impatto. Noi faremo raccolta dati, ma il modello di valutazione è in capo al comitato scientifico, guidato dalla professoressa Raffaella Sadun.

Mettiamo in campo risorse per individuare e sperimentare i progetti più promettenti rispetto a due elementi precisi, l’impatto e la scalabilità. I soggetti selezionati e finanziati riceveranno parte delle risorse a dimostrazione dei risultati ottenuti e i progetti finanziati, se valutati positivamente, avranno un coefficiente premiale per la partecipazione a bandi successivi.

Giovanni Fosti

Abbiamo già detto che il Fondo Repubblica Digitale si rifà esplicitamente, nel meccanismo, al Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile che è stato il primo esempio di una innovativa partnership tra il pubblico e il privato sociale. Che cosa di quell’esperienza ha funzionato al punto da replicarla in altro ambito?

Quell’esperienza ha reso evidente che è possibile affrontare questioni di interesse generale insieme, mettendo insieme soggetti che hanno natura pubblica e natura privata ma che hanno entrambi un obiettivo di interesse generale. L’altro elemento vincente di quell’esperienza è che è riuscita a costruire un'operazione di rilevanza nazionale. Ora con il Fondo Repubblica Digitale prendiamo di petto un altro aspetto della disuguaglianza, un altro dei temi critici del divide che c’è nel paese e lo facciamo insieme, pubblico e privati di interesse generale per cercare di accompagnare un percorso di crescita anche da questo punto di vista. Ovviamente non è una questione che si risolve in un tempo breve: occorre mettere in campo azioni in tempi rapidi ma sapendo che l'orizzonte temporale è più lungo, è quello della crescita del paese.

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