Ribattezzare il Non profit

Il fine supera il Terzo

Continua il dibattito aperto dalle parole di Stefano Zamagni al Meeting di Rimini sulla opportunità di accantonare la denominazione Terzo settore. Oggi interviene l'aziendalista della Lumsa, Filippo Giordano, che propone la strada del "finalismo istituzionale", distinguendo fra chi punta a creare valore per gli stakeholder e chi ha come fine primario il perseguimento di alcuni obiettivi sociali. Col pubblico sempre più impegnato nella governance

di Filippo Giordano

Nel dibattito aperto da Stefano Zamagni sulla necessità di superare la denominazione di Terzo settore, «chiamiamolo Settore civile» aveva detto il professore al Meeting di Rimini, sono intervenuti su VITA molti studiosi, come Leonardo Becchetti e Luigino Bruni, leader cooperativi e associativi, come Stefano Granata di Federsolidarietà e Walter Massa di Arci, e ieri la stessa portavoce del Forum del Terzo settore, Vanessa Pallucchi. Trovate gli interventi in calce al contributo di Filippo Giordano, ordinario di Economia aziendale alla Lumsa di Roma, che oggi ritorna sul tema. (g.c.)

È interessante il dibattito che l’intervento di Stefano Zamagni ha stimolato, sulla necessità di superare la definizione di Terzo settore per indicare quell’insieme di enti privati, quindi non appartenenti al settore pubblico, che perseguono obiettivi sociali e che si muovono integralmente o parzialmente al di fuori delle tradizionali logiche di mercato.

Rispetto agli interventi che mi hanno preceduto, riprendo alcune questioni che condivido e che certamente mettono in evidenza il limite del concetto di Terzo settore anche se, come ha evidenziato Luigino Bruni, questa definizione ha rappresentato e rappresenta forse ancora oggi il “meno peggio”. 

Al di là della possibilità di individuare una nuova terminologia condivisa, il che significherebbe quantomeno ridenominare questo faticoso percorso di riforma in essere da molti anni, le questioni poste da Zamagni e dai colleghi che mi hanno proceduto sono rilevanti e rappresentano il motivo per cui spero che questo dibattito continui ed esca anche fuori dai confini degli addetti ai lavori.

Riconoscere chi produce bene

Abbiamo oggi la necessità di dare maggiore riconoscimento alle organizzazioni che, nelle nostre comunità, erogano a vario titolo “prestazioni” di natura e a valenza sociale. Questo non solo per dare un encomio a chi già opera sul campo ma perché abbiamo bisogno di più sociale, sia dal punto di vista della quantità di attori che intervengono in questo ambito, sia dal punto di vista della qualità dell’intervento

Se vogliamo un’economia più sostenibile, attenta all’ambiente e più inclusiva, abbiamo la necessità di superare la contrapposizione tra ciò che è profit e ciò che è non profit. Concordo quindi sulla necessità di promuovere dei principi condivisi come comune denominatore per gli attori economici (questione posta da Leonardo Becchetti), unica via affinché tutto il sistema crei valore economico senza deteriorare valore sociale e ambientale.

Superare le contrapposizioni

La non contrapposizione tra creazione di valore economico e valore sociale vale per le imprese, ma vale anche per il mondo non profit. La possibilità per il Terzo settore di generare maggiore impatto sociale e strettamente collegata alla sua capacità di generare valore economico mobilitando e attraendo risorse. Solo superando questa contrapposizione saremo in grado di dare il giusto riconoscimento anche economico alle professionalità che operano in questo settore, rendendolo quindi più attrattivo.


L’intervento di Luigino Bruni

È evidente infine che la progressiva obsolescenza del termine Terzo settore è legata all’evoluzione che il sistema economico sta avendo, come ha sottolineato Bruni. I confini tra ciò che è pubblico e ciò che è privato sono sempre più sfumati e le imprese sono sempre più chiamate a fare la loro parte nel dare risposte ai problemi sociali. Questa evoluzione sta vedendo nascere modelli organizzativi ibridi, esperienze imprenditoriali innovative, nuove forme di collaborazione tra pubblico e privato (profit e non), tra imprese ed enti del Terzo settore.

Guardare al fine istituzionale

Come possiamo dunque in questo contesto maggiormente complesso superare il concetto di Terzo settore? L’approccio economico-aziendale suggerisce una strada che è quella del finalismo istituzionale. Partendo dal presupposto che l’attività economica, che è attività di trasformazione di risorse per produrre beni e erogare servizi, è ciò che caratterizzante tutte le forme istituzionali che popolano il sistema economico, l’elemento distintivo è il fine istituzionale perseguito dai diversi attori economici. Il fine influenza caratteristiche e strutturazione dei processi di creazione di valore nelle organizzazioni.

Pertanto di fianco al settore pubblico abbiamo due diverse categorie di istituzioni: quelle che nascono per perseguire il fine primario di creare valore economico per il loro sistema di stakeholder e quelle che nascono per perseguire primariamente obiettivi sociali, attraverso differenti modalità di svolgimento dell’attività economica (modelli di business) e quindi di finanziamento, da qui la possibilità di adottare diverse forme giuridiche (associazione, fondazione, cooperativa, impresa sociale).

Nel primo caso l’impatto ambientale e sociale positivo deve rappresentare il vincolo che il legislatore deve porre affinché il valore economico creato sia equo; nel secondo caso trasparenza, efficienza e corretto utilizzo delle risorse devono essere la patente per operare di queste organizzazioni.

Il pubblico in questo scenario dunque deve ritagliarsi sempre più un ruolo di governance costruendo un quadro normativo abilitante, con incentivi fiscali per chi dimostra di contribuire efficacemente alla risoluzione dei nostri problemi sociali.

Il dibattito continua.

Leggi gli interventi:

Leonardo Becchetti, Università Tor Vergata
Luigi Bruni, Lumsa
Stefano Granata, Federsolidarietà – Confcooperative
Walter Massa, Arci
Vanessa Pallucchi, Forum nazionale del Terzo settore

La foto in apertura è di Gerd Altmann da Pixabay

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