Cultura

Il film senza risposte di Ken Loach

Con "Sorry we missed you", il regista inglese ci porta, come di consueto, negli interstizi della società britannica, dove la pulsione estrattivista del capitale è divenuta sempre più disinibita. Ma lo fa in modo inedito, senza proporre rimedi o risposte preconfezionate

di Federico Mento

Rick ed Abby sono una coppia con due figli che vive a Newcastle. La crisi immobiliare ha duramente provato Rick: negli ultimi 10 anni è saltato da un impiego all’altro, dalla muratura, all’idraulica sino al giardinaggio. Nonostante i rovesci lavorativi, Rick decide di tentare una nuova avventura professionale nell’ambito della logistica. Abby lavora come operatrice nell’assistenza domiciliare, portando un poco di umanità e calore alle persone che assiste, provando a deviare dall’idea che siano dei “clienti” a cui dedicare uno slot orario.

Con Sorry, we missed you Ken Loach ci porta, come di consueto, negli interstizi della società britannica, dove la pulsione estrattivista del capitale è divenuta sempre più disinibita. Questa volta lo sguardo di Loach illumina le economie delle piattaforme, gli effetti della disintermediazione creano nuove forme di impiego destrutturate, siamo decisamente oltre i processi di terziarizzazione raccontati nei primi anni 2000 in Paul, Mick e gli altri.

I vincoli sono saltati, Rick è un lavoratore autonomo in franchising, guida il suo furgone e sostiene i costi del rischio di impresa, “non lavori per noi, ma lavori con noi” sono le parole con cui Maloney, il manager dello snodo della logistica, spiega a Rick il suo nuovo status lavorativo. A differenza dell’ultimo lavoro di Loach, “Io, Daniel Blake” nel quale si aggira ancora il fantasma dell’azione collettiva, Abby e Rick sono profondamente soli, Abby nel gestire i suoi “clienti”, Rick nel guidare per 12 ore al giorno il furgone. La solitudine lavorativa diviene assenza della relazione, poiché i tempi di lavoro sottraggono ad Abby e Rick il tempo da dedicare ai propri figli. Pur portando i “segni di classe”, Abby e Rick non possono far affidamento sulla solidarietà di classe, la polverizzazione del lavoro e delle relazioni ha rotto ogni possibilità di costruire vincoli in grado di chiedere e disputare diritti. Non a caso il film viene girato nel “cuore periferico” dell’Inghilterra, tra coloro che sono stati lasciati soli negli anni del New Labour ed oggi sostengono la Brexit ed il sovranismo di Boris Johnson. Loach fatica, come di consueto, ad uscire dalla mitologia del vecchio Labour, lo sciopero dei minatori raccontato ad Abby da una cliente, diventa una sorta di epopea della resistenza di classe da tramandare alle nuove generazioni.

Eppure i risultati delle ultime elezioni ci dicono che quel mito non è più persistente nella società inglese. Questa volta Loach non ci offre soluzioni, al contrario la chiusura del film ricorda la durezza narrativa dei fratelli Dardenne, piuttosto ci lascia con molti interrogativi. In primo luogo, esiste uno spazio per ricomporre i frammenti sociali che la spinta estrattivista ha prodotto? Possiamo tentare di riconfigurare il sistema di prestazioni sociali fuori dal paradigma efficientista?

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