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Il fidanzato? Te lo sceglie mammà

A fine settembre, il sabato pomeriggio, sulla Rai parte "Mi presento ai tuoi": un dating show in cui sono i genitori a scegliere il fidanzato o la fidanzata per i figli. Un'accelerazione culturale per legittimare i comportamenti di una famiglia sempre più fagocitante, in cui i giovani sono sempre più spesso visti come incapaci a vivere

di Sara De Carli

fidanzati che si abbracciano, con anello in primo piano

Il fidanzato? Te lo sceglie mammà. È il modello culturale che Mamma Rai ci propinerà a fine settembre, il sabato pomeriggio, con Mi presento ai tuoi: un dating show condotto da Lorena Bianchetti che – dice il comunicato estivo di presentazione del palinsesto – «riporta in auge, in chiave divertente, al tempo stesso contemporanea e nostalgica, il tema del corteggiamento attraverso l’antica abitudine di “fidanzarsi in casa”».

In realtà la Rai sdogana la tentazione dei genitori, ormai sempre più abitudine, di incunearsi in ogni snodo della vita dei figli. Non per nulla il casting per reclutare i protagonisti si rivolge proprio ai genitori, con queste parole: «Hai un figlio/a dai 18 ai 45 anni che non ha ancora trovato l’anima gemella? Pensi di conoscere il tipo di persona che potrebbe renderlo/a felice? È in arrivo il programma che fa al caso tuo».

È il “plusmaterno” (che non appartiene solo alle madri, ma anche ai padri) che Laura Pigozzi, psicoanalista, psicologa clinica, autrice di Troppa famiglia fa male e di Amori tossici (Rizzoli), indica come una delle più questioni educative più peculiari del nostro tempo e più preoccupanti.

La Rai parla con tono leggero e frivolo di una riscoperta del corteggiamento e del fidanzamento in casa. Per lei però non è un semplice e innocuo ritorno al passato, ma un’accelerazione sulla tendenza dei genitori a “invadere” ogni ambito della vita dei figli, a tenerli legati a sé, a non educarli all’autonomia. Perché?

Non è un semplice ritorno al passato, perché il fidanzamento in casa apparteneva ad una cultura in cui il matrimonio non era visto come una questione d’amore ma patrimoniale. Nel nostro mondo, nella nostra cultura, invece il matrimonio è cambiato, è una questione d’amore, come ha messo in luce Denis de Rougemont: se il matrimonio è una questione d’amore, esso sottende implicitamente la libertà di scelta dei futuri sposi. Ci sono culture in cui il matrimonio ha ancora a che fare con il patrimonio, ma non sono la nostra. Quindi è sbagliato pensare che sia un ritorno al passato, perché nei matrimoni combinati i genitori sceglievano lo sposo o la sposa per ragioni economiche esplicite e dichiarate: era una cosa più schietta, dentro un modello culturale diverso. Proporre una cosa del genere oggi, in un contesto culturale completamente diverso, equivale invece a dire al figlio “tu da solo non sei in grado di scegliere il tuo compagno di vita, quindi ci penso io”.

Proporre una cosa del genere oggi, in un contesto culturale completamente diverso, equivale invece a dire al figlio “tu da solo non sei in grado di scegliere il tuo compagno di vita, quindi ci penso io”.

— Laura Pigozzi

È uno sguardo sui figli come eterni bambini, impossibilitati all’indipendenza…

Dice di genitori che non vogliono restare indietro, non vogliono essere abbandonati e quindi ti vogliono “aiutare” anche nella scelta più soggettiva e intima. I nuovi genitori, promossi dal sistema, dirigono i sentimenti dei figli dopo averne ben spolpato la capacità d’amare facendosi adorare e togliendo loro ogni avventura, ogni rischio e quindi ogni sapere sull’amore. Dopo aver reso i figli inadatti all’indipendenza, ecco che se quei figli devono proprio essere di qualcun altro, sono ancora i genitori a voler gestire la faccenda: riportare in auge il fidanzamento in famiglia è un modo di tenerseli ancora un po’ in casa e di controllarli. Ovvio che il pretendente o la pretendente deve piacere a loro: oserei dire che deve essere qualcuno o qualcuna con cui mamma e papà si possono identificare, per poter realizzare l’inconscio fantasma incestuoso che li divora. Il titolo del programma è Mi presento ai tuoi, ma non è come Indovina chi viene a cena, la logica è diversa da quella che sembra. Significa legittimare il mettere le mani nel cuore e nelle lenzuola dei figli.

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In tanti però potrebbero dire “addirittura, alla fine è solo una trasmissione tv”. Cosa rispondere?

Ma la tv fa educazione e diseducazione, veicola un modello che può diventare pervasivo su famiglie già abituate a intervenire troppo nella vita dei figli. La maggior parte delle separazioni avviene perché c’è troppa intromissione da parte della famiglia di origine, non solo su scelte eccezionali come il compare casa ma intromissioni quotidiane, banali, sull’acquisto di un mobile, di un detersivo… C’è un non rispetto dei ruoli. Per noi psicoanalisti è un tema cruciale, quando in una famiglia qualcosa non va tu non vai a vedere come si comportano le persone, quelle sono conseguenze, ma la struttura delle relazioni. Qui che struttura c’è? Quella totalmente perturbata di genitori che scelgono per i figli.

Dopo aver reso i figli inadatti all’indipendenza, ecco che se quei figli devono proprio essere di qualcun altro, sono ancora i genitori a voler gestire la faccenda: riportare in auge il fidanzamento in famiglia è un modo di tenerseli ancora un po’ in casa e di controllarli

— Laura Pigozzi

Il tema della cultura non è mai secondario e proprio questo tema è emerso anche nella recente vicenda dello stupro di Palermo da parte di sette ragazzi e nella sentenza del Gup di Firenze che ha assolto due ragazzi accusati di stupro perché non avrebbero avuto gli strumenti per riconoscere il mancato consenso a causa di una «concezione pornografica o distorta della sessualità»… La cultura è una scusa?

Spiace dirlo, ma i giudici sui temi della famiglia, del femminile, delle relazioni… sanno poco davvero. C’è bisogno di dare loro una formazione psicologica. Io sono d’accordissimo  che i comportamenti di questi ragazzi sono frutto della loro cultura, ma allora l’imperativo è lavorare sulla cultura che tanti giovani oggi respirano. Bisogna trovare una soluzione: non possiamo eliminare la pornografia per legge ma dobbiamo cercare di capire come questa pornografia violenta ha fatto breccia nelle menti di questi ragazzi. Serve una rieducazione, un piano di rientro nell’umano, non ha senso dire “mettiamoli in carcere e buttiamo la chiave”. Ma se il tema sono le relazioni, non possiamo accontentarci nemmeno di percorsi solo sui singoli: vanno coinvolte le famiglie, le fidanzate e le ex fidanzate, i professori, i presidi, la rete culturale che questi ragazzi hanno frequentato. Questa rete c’entra per capire la storia del singolo, perché quello che filmava e basta non ha potuto sottrarsi, quali sono le relazioni che hanno vissuto e che hanno permesso che loro le donne le guardassero in questo modo.

Foto dFoto di Joshua Rodriguez su Unsplash


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