Cultura

Il feticismo fa bella figura

Una parola alla riscossa. Una categoria di cui vergognarsi o una chiave per capire l'angoscia?

di Redazione

Se Marx potesse vedere lo spot in cui la ragazza si avvia a varcare le soglie dell’inferno piuttosto che sfilarsi dal polso il suo Breil, vi riconoscerebbe il carattere di feticcio della merce di cui scrisse nel Capitale, nonché i grilli che, usciti dalla testa del tavolo nella stessa pagina, sono finiti evidentemente in quella della ragazza pronti a saltare addosso al consumatore. è l’arcano della merce: toglietemi tutto, ma non il mio ni-ente. Nel XX secolo, il mistero si è infittito, fino a comprendere il culto del senso della vita, denunciato ad esempio da Orson Welles in Quarto potere con l’enigma di Rosebud. Ma come può il nome di una slitta, pronunciato dal capitalista in punto di morte, divenire la parola-cifra di un’intera esistenza? Geniale j’accuse lanciato nel 1941 contro feticismo e occultismo: puntuale arrivò nel dopoguerra la stroncatura di Sartre, a nome di tutto l’esistenzialismo. Figure del feticismo (Einaudi, L. 34.000) è una ricca raccolta di saggi egregiamente curata dal medico psichiatra Stefano Mistura. Permette di collocare l’oggetto nel regime di produzione capitalistico (il Breil) tra il piano alto della storia del pensiero e il piano basso e maleodorante del fetish. Uno sguardo a Internet mostra che il libro sta già facendo strada: inaugura la voce feticismo, seguito da 2000 pagine, con titoli colti e meno colti, fino alla vendita online degli oggetti della casa del Grande Fratello. Dunque non è operazione di poco conto cercare di riscattare il tema stesso del feticismo, nel suo valore di soluzione anzitutto individuale all’angoscia. Mistura vi riesce. Tutto il suo lavoro va nella direzione di individuarne con precisione i nodi teoretici, pur nel rispetto dei diversi ambiti e discipline, per evidenziarne la dignità di problema carico di prepotenza, dal duplice punto di vista clinico e culturale, individuale e di civiltà. Tra le diverse linee di indagine, troviamo quella antropologico-religiosa, quella economico-sociale e quella psicoanalitica, con illustrazioni penetranti del pensiero di Comte, Marx, Benjamin, Adorno, Breton ed altri, senza tuttavia fare di tutt’erba un fascio; c’è da esserne grati al curatore e agli autori. Un particolare privilegio è accordato con ragione alla ricerca psicoanalitica: la raccolta si apre con alcuni scritti di Sigmund Freud, tra cui due inediti, (il saggio di Maria Delia Contri è anche un’ottima guida alla lettura degli stessi) e si conclude con il contributo di Giacomo Contri su quelli che egli chiama «i tre imperativi categorici» dell’Ordine simbolico: 1) siate insoddisfatti!; 2) fate obiezione!; 3) non giudicate! Il lettore vi troverà condensata in una battuta una nuova e incisiva definizione: «Il feticcio non è le mutande o le calze della ragazza; è le mutande o le calze invece della ragazza». In conclusione, un libro non facile, perché confezionato con onestà e ambizione, doti rare di cui oggi sembra decretato anzitempo il divorzio. Per il suo respiro salutare di critica up to date della modernità, non si rivolge a una ristretta comunità di addetti ai lavori. Merita invece di essere adottato in un corso universitario (non solo di storia della filosofia) e può essere ben apprezzato anche da appassionati della notte dei pubblivori, come pure da un pubblico più vasto, composto da coloro che non intendono deporre del tutto le armi della critica nei confronti dell’aria, non proprio salubre, che tira.


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