Famiglia

Il fango e la rabbiaI volontari accusano

La gioia per aver strappato alla morte nera decine di vite, la protesta contro chi doveva intervenire e non c’era. E il sospetto di loschi affari. All’ombra della camorra

di Cristina Giudici

L?unico numero certo riguarda i morti», ha detto l?8 maggio scorso un impotente ministro degli interni davanti al disastro di una Protezione civile franata a valle insieme al fiume di fango. Non è vero signor ministro, l?unica cosa certa sono loro: i volontari, che da una decina di giorni scavano senza sosta. Loro, i nostri inviati nel fango, non sono solo un commovente esempio di solidarietà, ma anche centinaia di teste che in queste due settimane hanno portato ordine là dove non c?era che caos, strutture là dove c?era solo panico e mezzi dove uno Stato incapace annaspava. E poi rabbia, tanta rabbia per tutto quello che poteva essere evitato. ?Vita? vi propone il racconto inedito di una tragedia che non è ancora stata del tutto raccontata. Francesco Barbetta (volontario delle Misericordie) Quando sono arrivato a Sarno, mercoledì notte (lo scorso 6 maggio, insomma il giorno dopo), ho visto un mare di fango e una marea di volontari allo sbaraglio. Così, con quel poco di intuito e di ragione che la natura mi ha fornito, mi sono diretto subito alla montagna con la mia squadra, senza chiedere niente a nessuno e abbiamo iniziato a scavare. Faccio il volontario da 30 anni, ma giuro che non ho mai visto niente di simile, neanche in Irpinia. Abbiamo scavato senza sosta per quattro giorni e per quattro notti, strappando al fango 14 cadaveri. Gli ultimi, una donna abbracciata alla sua bambina, mi hanno tolto quasi la ragione. Quando le ho viste, ho sentito il cuore che mi scoppiava. In una casa, in viale Margherita, un antifurto suonava senza sosta, rompendoci i timpani; così ci siamo avvicinati e abbiamo sentito qualcuno che ansimava. Abbiamo rotto una finestra e i sospiri si facevano sempre più forti, ma non potevamo avanzare perché la melma era fresca. Ci sono volute sei ore per tirarlo fuori di lì, poi l?abbiamo visto e ho capito perché non poteva urlare, il ragazzo era sordomuto. In seguito abbiamo salvato quattro signore e due ragazzi disabili. L?elicottero è sceso giù fra i due palazzi e ricordo che fra il balcone e le pale c?erano si e no 20 centimetri. Cose da pazzi. Non vi racconto questo per farvi credere di essere un eroe. Niente di tutto questo. Penso semplicemente che la solidarietà sia il percorso per costruire una società un po? più giusta. Ed è proprio per questo che muoio dalla rabbia a vedere che noi volontari siamo utilizzati solo per raffreddare le patate bollenti, ma non veniamo mai presi in considerazione in tempo di pace. E allora non capisco perché nessuno mi dia gli strumenti per preparare i miei ragazzi, e poi, dopo che abbiamo scavato tutto il giorno, ci lasciano dormire per terra. Ma soprattutto non si capisce perché dove c?è da sputare sangue ci siamo solo noi, i volontari, ma dove c?è puzza di soldi, allora arrivano gli altri. Io sono di Acerra, e la mia terra la conosco bene, perciò non voglio accettare che alle cinque di mattina, quando siamo pronti per andare a scavare, non si possa partire perché chi deve dare l?autorizzazione non è in ufficio. Fra Terenzio Soldovieri (delegato regionale della Caritas) Il mio collaboratore si chiamava Raffaele Catalano, si occupava degli anziani ed era di Sarno. Martedì sera l?ho riaccompagnato a casa, pioveva a dirotto, sulla strada abbiamo incontrato una ruspa che cercava di rimuovere una frana. Durante il tragitto lui mi diceva «Fra?, questi disgraziati continuano a bruciare la montagna e ogni volta che piove noi ci troviamo in un mare di fango…». Tornando indietro, dopo averlo lasciato sull?uscio, ho incontrato un fiume nero, ho girato la macchina e sono scappato, ma non potevo immaginare cosa stesse succedendo. Raffaele l?ho rivisto solo qualche giorno dopo quando l?hanno ritrovato, senza vita, con la moglie sotto il fango. Non c?è consolazione che si possa dare in questi momenti, solo condividere il dolore in silenzio perché la responsabilità di questa tragedia è solo degli uomini, non di Dio. Noi della Caritas abbiamo deciso di costituirci parte civile perché qualcuno deve pagare, bisogna individuare le reponsabilità, le colpe. Noi, però, ci siamo dati da fare subito, rivestendo i bambini inzaccherati e piangenti, fornendo i pasti, creando da subito un centro operativo. Mentre qui litigavano e si accapigliavano, noi già ci davamo da fare. Il Com, il Centro operativo misto della Protezione Civile , si è costituito solo due giorni (!) dopo la tragedia, ma i nostri volontari erano sul posto già qualche ora dopo. La solidarietà è solo una parola finché non si sta in mezzo alla gente, finché non si tocca il cuore degli uomini che soffrono. In futuro istituiremo una task force diocesana: noi stiamo già pensando al dopo, quando i riflettori si spegneranno e ci saranno orfani da assistere, famiglie da aiutare, case da ricostruire, colpevoli da consegnare alla Giustizia. L?emergenza a Sarno durerà almeno tre mesi, la ricostruzione un anno, a meno che finisca come il terremoto e allora l?emergenza non avrà mai fine. Rosario Scognamiglio (volontario di Legambiente) Quando ci hanno visto arrivare, la gente del posto ci ha detto «ma dove volete andare, state attenti… », e allora noi siamo stati molto attenti e abbiamo visto. Abbiamo visto per esempio che 70 ruspe private lavoravano al posto dei soccorsi della Protezione civile che ancora non si vedevano, che il Com di Sarno è stato commissariato dal prefetto perché era malgestito, che la speculazione dei mezzi e trasporti pesanti erano già nelle mani del malaffare. Il Com è stato costituito solo due giorni dopo la tragedia, le sonde sono arrivate tre giorni dopo, anche la prima autobotte con acqua potabile, ma noi, volontari della Legambiente siamo qui dal primo giorno. Per ora continuiamo a lavorare, ma quando l?emergenza sarà finita, allora molte teste dovranno cadere. Anche noi della Legambiente ci costituiremo parte civile contro gli organi competenti della Forestale e la Regione perché di colpe ce ne sono troppe. Io continuo a chiedermi per esempio perché la montagna venisse continuamente incendiata, vuoi per costruire una villa abusiva, vuoi per far pascolare i buoi, senza che nessuno dicesse niente e perché mai avessero costruito un ospedale sulle pendici di una montagna pericolante. Oggi, per esempio, abbiamo fatto un giro d?ispezione con un ingegnere forestale della Lega ambiente e sopra Episcopio abbiamo visto che c?è una crepa profonda che alla prima pioggia potrebbe far rotolare a valle un altro pezzo di montagna. Questa volta qualcuno ci darà retta?


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