Politica

Il fallimento del Ddl Zan

Irrazionalità, ignoranza del merito, schieramento pregiudiziale hanno impedito un confronto vero. La violenza comincia da lì. E distrugge la nostra convivenza e ogni possibile e vera battaglia per i diritti

di Alessandro Banfi

Lo stop al Ddl Zan è stato un fallimento. Non voglio dire che fosse una legge ben scritta. E dopo proverò a spiegare perché. Ma il fallimento complessivo è stato quello della nostra democrazia, della nostra capacità di discutere e dialogare su temi serissimi e rilevanti. Dei nostri media e della nostra politica. Non so se sia una conseguenza diretta della democrazia digitale ma la mia sensazione è che pochissimi abbiano letto davvero il testo del Ddl Zan che la Camera aveva approvato. Sui social ci si divide fra difensori dei diritti degli LGBT ed entusiasti (e reazionari) affossatori della legge. Modernità contro Medio Evo. La politica ha avuto gli stessi riflessi. Un esempio? Non ho mai sentito Enrico Letta entrare nel merito della legge. L’idea implicita e scontata era prendere o lasciare, a scatola chiusa. Stai coi diritti degli omosessuali o sei omofobo?

E d’altra parte anche la destra reazionaria dei partiti sovranisti come Lega e Fratelli d’Italia ha avvallato, simmetricamente, questo scontro. Ovviamente per mantenere in piedi questa immagine, bisognava non dare conto delle posizioni di coloro che dall’Arci Gay ad Angelo Pezzana, fino alle femministe storiche non condividevano la legge Zan. Per non parlare delle puntuali osservazioni dei Vescovi su commi e articoli da rivedere. E infatti ci sono giornali, come Repubblica, che solo oggi, in un bell’articolo del costituzionalista Carlo Galli, danno conto di queste posizioni nel campo progressista e addirittura fra le organizzazioni di attivisti. Per mesi c’è stata una censura totale.

Entriamo allora nel merito. La legge Zan avrebbe introdotto due punti davvero controversi. Il primo riguarda il reato d’odio contro gli omosessuali. Nell’ambito delle aggravanti si configura la punizione di opinioni che possano costituire “concreto pericolo”. Chi avrebbe dovuto stabilire che cosa incita alla violenza e che cosa no? Un giudice. Da qui il rischio di provocare inevitabilmente nuove forme di intolleranza. Fra i pochissimi ad intervenire con lucidità su questo punto è stato Gustavo Zagrebelsky.

Seconda questione: l’ideologia gender. Come ha scritto Galli su Repubblica: “Il ddl apre anche la porta, sia pure in via indiretta, all'ideologia gender, la cui essenza è politica. Infatti, il nucleo più radicale delle sue formulazioni è che la civiltà occidentale è socialmente e culturalmente strutturata e istituzionalizzata in senso duale, binario, cioè intorno a due soli generi (maschile e femminile), che sono anche identità esistenziali e comportamentali. A tale struttura binaria si oppone il diritto di libera scelta individuale del genere (e in alcuni casi anche del sesso, e sempre della sessualità e dell'affettività): si afferma così una fluidità indefinita delle identità, che dovrebbe frammentare la struttura binaria vigente”.

Un’ideologia, aggiungo io, che non è mai piaciuta alle femministe (nel mondo occidentale, non solo in Italia) e che è vista con sospetto dal pensiero liberale (anche di sinistra) perché sembra voler imporre alla società una nuova visione del mondo, piuttosto che lasciare alla libertà individuale ogni determinazione. E ovviamente non è condivisa dalla Chiesa e dai cattolici, per cui la distinzione naturale uomo-donna resta fondamentale. Uno scontro culturale e ideologico non da poco. Che avrebbe meritato dibattiti e discussioni. Così come sarebbe stato legittimo discutere dell’insegnamento nelle scuole. Giusto e direi sacrosanto insegnare la libertà e l’accettazione di tutte le diversità, rischioso quando diventa propaganda ideologica.

Credere nella democrazia è credere nel confronto delle idee, non nello scontro di slogan e insulti. Credere nella democrazia significa anche pensare che una legge viene migliorata dalla mediazione: il compromesso è fecondo perché il confronto condiziona l’altro e migliora la mia stessa posizione. E la mia stessa legge.

Il timore adesso è pensare che il Ddl Zan sia un’altra tappa del deterioramento della nostra vita pubblica. Dopo quello che è avvenuto sulla lotta al virus. Irrazionalità, ignoranza del merito, schieramento pregiudiziale hanno impedito un confronto vero. La violenza comincia da lì. E distrugge la nostra convivenza.

articolo pubblicato su 10alle5 Quotidiana

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