Non profit
Il doppio miracolo di Morris
Ricordi La morte in Bolivia di un figlio prediletto di don Benzi
di Redazione

Quel ponte sul fiume Wilakota, Morris lo conosceva bene. Ogni giorno, dal 2001, ci transitava con la sua auto. Andava e veniva dal suo sogno divenuto realtà, una comunità di recupero per ragazzi di strada nata alla periferia di La Paz, capitale della Bolivia. Ma venerdì 25 gennaio 2008 il Wilakota l’ha tradito. Una piena imprevista, la Land Rover che conduceva scaraventata a sei chilometri di distanza dal ponte, il suo corpo ritrovato solo la mattina dopo. Una fine atroce quella con cui Morris Bertozzi, nato 35 anni fa a Forlimpopoli, lascia la moglie boliviana e i due figli, l’ultima nata appena da una settimana. Ma non solo. Con la sua morte, un altro vuoto improvviso e immenso si è aperto tra i membri dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, per la quale Morris era responsabile delle attività a La Paz. Era a Rimini Morris, il 5 novembre 2007: quel giorno, con altri cinque fratelli di comunità, portava sulle spalle il feretro del “suo” don Benzi. Non aveva voluto mancare ai funerali di quel prete che, 15 anni prima, lo aveva salvato dalla droga. «A differenza di tanti amici che ho visto morire, io grazie alla comunità ho messo il punto finale agli eccessi, e ho riscoperto la fede», rispondeva Morris a chi gli chiedeva come mai, nel 1996, a soli 24 anni, avesse deciso di abbandonare l’Italia per la Bolivia. Una fede smisurata. E tanta ostinazione. Dal paese andino, infatti, se ne voleva andare subito, «troppo diverso, troppo difficile». Poi il primo incontro con un ragazzo di strada, che già a 12 anni traboccava di vuelo, la colla sniffata dal fazzoletto di lana, la droga dei poveri. «Voglio andarmene dalla strada, ma non so come fare, non ho più nessuno», confidò il ragazzino a Morris. Bastò quella piccola finestra aperta sul mondo dei chicos de la calle per fargli capire il suo destino: aiutare quei ragazzi a ritrovare una casa, una famiglia. In pochi giorni, tutto era pronto. «Un secchio di latte, un sacchetto pieno di panini, e via per la notte di La Paz a condividere il loro disagio». E soli cinque anni dopo, il miracolo: la nascita di Sant’Aquilina, uno stupendo centro di recupero incastonato tra le montagne, una tranquillità che nel corso di sette anni ha permesso a decine di ragazzi di riabilitarsi. «Gran parte del merito va ai fondi Ue», mi disse con umiltà quando, a metà 2004, andai a fargli visita. Ma la mano dell’uomo che dedica la vita al prossimo era fin troppo evidente: due serre, una falegnameria, un pastificio-panetteria, un maneggio dove praticare ippoterapia, una serie di appartamenti per le ragazze madri, addirittura un centro medico. E, in città, due ristoranti e due gelaterie oggi assai rinomate, gestite dai ragazzi che hanno terminato il cammino di recupero. Nel 2003 lo Stato italiano aveva nominato Morris “Cavaliere della solidarietà”. «Ma il riconoscimento va all’associazione, a me non cambia niente», mi disse. «La mia missione quotidiana è la stessa da anni: rispondere al bisogno di ogni ragazzo che si è perso, di cui più nessuno sa l’esistenza. È una vita umana, per questo vale moltissimo». Una vita proprio come la sua. Che è valsa e varrà molto, per tanta gente. Ma che è finita davvero troppo presto.
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