Economia

Il doppio gioco delle startup

La nuova procedura di riconoscimento delle startup innovative a vocazione sociale apre un mercato che premierà chi riesce a coniugare tecnologia e impatto sociale. Come insegnano questi cinque casi di successo

di Redazione

Ci mancava solo la benedizione del Papa, e adesso è arrivata anche quella. Pochi dubbi allora che startup sia la parola dell’anno. Oltre un miliardo (1,18 per l’esattezza) di risultati googolando la formula a due parole (start up o start-up). A cui bisogna aggiungere i 156 milioni della versione a termine unico (startup). Bergoglio e con lui l’Onu, che il 28 febbraio ha chiuso una call ad hoc in vista della startup competition promossa da Unece (Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite) che si terrà a Ginevra al Palazzo delle Nazioni il 14 aprile, hanno però puntato su una particolare tipologia di startup: quelle innovative a vocazione sociale.

Quelle a cui Francesco ha voluto dedicare il progetto Scholas Labs, come ha spiegato in occasione del suo secondo hangout da Pontefice, parlando con studenti disabili in collegamento da Spagna, India, Brasile e Stati Uniti. Nel concreto si tratta dell’incubazione di startup innovative nel campo dell’integrazione scolastica. L’hub è aperto alle startup di tutto il mondo e la selezione avverrà per mano di un board di esperti di caratura internazionale così, come di notorietà internazionale, sono gli sponsor: Google, Microsoft, Line 64, Globant, Papaya Group e Telecom Group Argentina. Si tratta di quello stesso genere di impresa di recente avviamento che per il Palazzo di Vetro fra i prerequisiti devono dimostrare «il potenziale dell’impatto sociale e ambientale, la sostenibilità e la qualità del progetto aziendale».

Mentre però Oltretevere e Oltreoceano si corre, in Italia la qualifica di startup sociale in quanto tale è ancora ferma al palo. «Troppo spesso le norme che dovrebbero favorire il meticciato fra modelli di impresa diversi non si parlano e di fatto non favoriscono i processi e le spinte che emergono dai territori», conferma Stefano Granata, presidente di Cgm, il più importante consorzio di cooperative sociali italiano che ha fatto dell’ibridazione fra coop, spa e srl uno degli assi portanti del suo mandato.

«Pensate», aggiunge, «a quanto distanti in questi mesi sono apparsi il dibattito sulla riforma del Terzo settore e quello relativo proprio alle startup innovative a vocazione sociale. Eppure logica vorrebbe che fossero le due gambe di un progetto, evidentemente ministero del Welfare e ministero dello Sviluppo economico parlano lingue diverse». Come ricorda Granata però casi di impresa in forte espansione costruite sul binomio innovazione tecnologica – innovazione sociale incominciano a popolare nei nostri distretti (ex industriali).

Un’avanguardia non facile da scovare. La breccia però è stata aperta recentemente dalla nuova procedura per il riconoscimento delle startup innovative a vocazione sociale (non una legge, ma una semplice procedura regolamentare, per l’appunto) con la quale il Mise ha voluto aggiornare la legge 221/2012 (che ha introdotto agevolazioni fiscali a vantaggio degli investitori) da cui sono nate appena 65 startup a vocazione sociale su 3.348 realtà nate sino ad oggi. Il perno del nuovo sistema è il documento descrittivo dell’impatto. È seguendo questa strada che Vita ha tracciato le più innovative e solide startup a vocazione sociale attive nello Stivale…

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Nell'immagine di copertina il team della startup B1onix

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