Il Financial Times (FT) nell’edizione natalizia ha pubblicato un articolo a pagina intera dal titolo “Capitalism: in search of balance” dove il giornalista, J. Gapper, critica un passaggio della Esortazione “Evangelii Gaudium”. Peccato per la caduta di stile del sotto-titolo “the Pope is wrong about inequality”. Non è mia intenzione difendere il pensiero del Papa, non ne ha certo bisogno. Preferisco considerare la sfida della “Evangelii Gaudium” come uno spunto per riflettere su eventuali linee di sviluppo della ricerca economica.
L’editorialista del FT si concentra sulla prima frase del paragrafo 56 (sez. “Alcune sfide del mondo attuale”, del secondo capitolo “Nella crisi dell’impegno comunitario”), dove si legge: “Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice”. Il FT dimostra “quantitativamente” che il progresso tecnologico e la globalizzazione hanno determinato a livello mondiale un aumento generalizzato del benessere e una riduzione della diseguaglianza nella distribuzione dei redditi. Si pensi alla rapida industrializzazione della sola Cina che ha portato all’innalzamento del tenore di vita di un miliardo e mezzo di esseri umani.
Il Papa non disconosce certo la spinta positiva del progresso delle condizioni materiali. Anzi, nel primo paragrafo dello stesso capitolo esordisce con: “ l’umanità vive in questo momento una svolta storica che possiamo vedere nei progressi che si producono in diversi campi. Si devono lodare i successi che contribuiscono al benessere delle persone, per esempio nell’ambito della salute, dell’educazione e della comunicazione”.
Il FT riconosce come al progresso si sia parallelamente contrapposto negli ultimi 30 anni un aumento della diseguaglianza nel mondo occidentale. Ed è probabile che alla base di questa divergenza ci sia lo stesso fenomeno, cioè la globalizzazione. Volendo esemplificare in maniera estrema, fino agli anni ’80 l’azienda manifatturiera che produceva e vendeva prodotti in Europa impiegava manager e operai europei. A partire dagli anni ’90 l’azienda delocalizza in Cina, licenziando operai europei e assumendo operai cinesi. Al posto della fabbrica in Europa viene costruito un ipermercato. Questo fenomeno porta contemporaneamente ad un aumento dei salari in Cina e dei profitti per la azienda. In Europa, i vantaggi sono solo per gli azionisti, i manager e i “creativi”; gli operai europei vengono licenziati e riassunti nell’ipermercato, in attività a minore valore aggiunto e salari più bassi.
Nei momenti di grande cambiamento bisogna prestare la massima attenzione a chi rimane indietro e a chi approfitta indebitamente di rendite di posizione, altrimenti si rischia come afferma il Papa, che “il timore e la disperazione si impadroniscono del cuore di numerose persone, persino nei cosiddetti paesi ricchi. La gioia di vivere frequentemente si spegne, crescono la mancanza di rispetto e la violenza, l’inequità diventa sempre più evidente.”.
Limitandosi alla descrizione tecnica del fenomeno socio-economico e alla sua misurazione quantitativa, il rischio che si corre è di … fermarsi lì. E questo è ciò che accade all’editorialista del FT. L’analisi del Papa è invece molto più profonda, siamo solo alla stazione di partenza.
La questione non è semplicemente di diseguaglianza nella distribuzione del reddito, ma un concetto molto più ampio, che il Papa denomina “inequità”. In una società disumanizzata, dove l’individuo viene considerato un bene di consumo fino a convincersi di esserlo, colui che rimane indietro è un “rifiuto”, uno “scarto”, non un povero, non uno sfruttato o un oppresso. L’inequità si accompagna pertanto all’esclusione dalla società.
Si percepisce che la preoccupazione maggiore del Papa sia per la tenuta dei legami sociali, fortemente minacciati dalla esclusiva ricerca del proprio benessere materiale: ”la cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo … con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori .”
Da qui deriva a mio parere un’esortazione a superare le sterili e irrilevanti dispute tra neokeynesiani e neoclassici di questi decenni, per costruire una teoria “etica” dello sviluppo economico, basata sull’equità e sull’inclusione sociale.
Volendo esemplificare (per chi lavora come me sui mercati finanziari), se una borsa valori ha bisogno di una “etica”, cioè di regole e di autorità che le facciano rispettare, come possiamo pensare che un mercato globale abbandonato a se stesso possa produrre gli effetti benefici della maggiore equità e inclusione sociale? Lo scopo della Borsa è quello di trasformare i risparmi in investimenti, per promuovere il progresso e il lavoro. La ricerca del guadagno fine a sé stesso non può intralciare il raggiungimento di tale obiettivo. L’abuso di potere, come la spoliazione di una società ai danni degli azionisti di minoranza o l’utilizzo di informazioni privilegiate, è sanzionato duramente. Il mercato dei capitali morirebbe se si basasse sull’inclusione di una ristretta minoranza di potenti e sull’esclusione della maggioranza degli investitori.
Se definire le regole di funzionamento e le autorità per farle rispettare è relativamente facile per un’istituzione “semplice” come la Borsa , è molto più difficile sviluppare una teoria economica “etica” per la comunità umana.
La difficoltà è evidente nelle parole del Papa: “la crisi procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune.” Se le regole del mercato prima le dettava lo Stato-Nazione, nel mondo della globalizzazione a quali istituzioni viene affidato il compito di definire e fare rispettare il “codice etico” degli affari? Chi difende il bene comune, le “cose fragili, come l’ambiente”?
Per arrivare ad una teoria “etica” dello sviluppo economico bisogna infrangere il tabù del relativismo morale e dei diritti assoluti dell’individuo, identificando un insieme di norme morali condivise. E’ un compito complesso, ma necessario per la sostenibilità dello stesso sviluppo economico: “la crisi mondiale che investe la finanza e l’economia manifesta i propri squilibri e, soprattutto, la grave mancanza di un orientamento antropologico che riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo.”
Commenti come quello del FT quindi non sono sbagliati o stupidi, ma semplicemente “sciapi”. Quella della “Evangelii Gaudium” è una accorata Esortazione a spingere lo sguardo oltre i limiti culturali che ci siamo auto-imposti. Rispondere alla complessità delle sfide sollevate dal Papa con il calcolo del coefficiente di Gini …. beh, è la dimostrazione di aver capito poco … un pò come guardare il dito che indica la Luna.
Per chiudere, riporto questo estratto del paragrafo 59, che secondo me ognuno di noi dovrebbero tenere sempre a mente: “ fino a quando non si eliminano l’esclusione e l’inequità nella società e tra i diversi popoli sarà impossibile sradicare la violenza. Si accusano della violenza i poveri e le popolazioni più povere, ma, senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l’esplosione. Quando la società – locale, nazionale o mondiale – abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità. Ciò non accade soltanto perché l’inequità provoca la reazione violenta di quanti sono esclusi dal sistema, bensì perché il sistema sociale ed economico è ingiusto alla radice. Come il bene tende a comunicarsi, così il male a cui si acconsente, cioè l’ingiustizia, tende ad espandere la sua forza nociva e a scardinare silenziosamente le basi di qualsiasi sistema politico e sociale, per quanto solido possa apparire. Se ogni azione ha delle conseguenze, un male annidato nelle strutture di una società contiene sempre un potenziale di dissoluzione e di morte. È il male cristallizzato nelle strutture sociali ingiuste, a partire dal quale non ci si può attendere un futuro migliore. Siamo lontani dalla cosiddetta “fine della storia”, giacché le condizioni di uno sviluppo sostenibile e pacifico non sono ancora adeguatamente impiantate e realizzate. “
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