Cultura

Il disvalore di Alitalia

Manca un report di lungo termine che racconti le ricapitalizzazioni, i problemi con un personale viziato dalle lusinghe della politica (di Paolo D’Anselmi).

di Redazione

Dicembre 2006. Alitalia è un tema del quale non si scrive per evitare il tardivo, collettivo e perciò codardo oltraggio. Tema che tuttavia presenta cinque aspetti poco e mal trattati: memoria, nazionalità, consumatore, stipendi e bandiera. Cinque vecchie conoscenze che riemergono nella discussione e si ha la sensazione che resteranno con noi a lungo.

Quel 1984…
Memoria: i giornali quotidiani fanno il mestiere di raccontare il mondo in alta frequenza, come cambiasse ? il mondo, appunto – di giorno in giorno: «Adesso comincia la partita» titolava Mucchetti sul Corriere della Sera del 2 dicembre 2006, ma che Alitalia fosse un disvalore per il popolo, ciascuno ha potuto constatarlo da quando ha acquisito l?uso dell?aereo. Correva il 1984 e la storia la si vedeva dalle risposte della mutua che ti dava il personale di terra, allungato sullo sgabello, gambe accavallate, schiena appesa allo schienale, atteggiamento da Usl, appunto. E venne la serrata dei piloti. Denunciammo. Fummo chiamati dal pubblico ministero. Chissà come finì. Poi gli steward si ammalarono in mille lo stesso giorno, rivelando insieme al tumore dei trasporti quello del sistema sanitario che certifica l?ovvio. Questo per dire che la partita Alitalia viene da lontano ed è ragionevole supporre che non siamo all?ultimo atto.Non finisce per esempio sul fronte della proprietà futura se mettiamo insieme quello che dice Mucchetti (ibidem): «Censire le disponibilità reali che il mercato dell?imprenditoria, nazionale ed internazionale, offre sul rischio Alitalia» con quello che dice Rutelli (ibidem): «Ricercare un azionista di riferimento italiano». Riparte così il pregiudizio sulla proprietà nazionale. Comprensibile per via politica, ma questo fa rivedere film già visti. Si ignora Pippo Ranci su Il Sole 24Ore . Ranci sostiene che la proprietà nazionale non è una garanzia in sé. Peraltro «in Europa non è consentito ad un governo di discriminare a favore della proprietà nazionale. Il governo deve porre problemi precisi e chiedere precise garanzie, non sulla nazionalità della proprietà, ma su ciò che costituisce vero interesse del Paese».Rutelli è convalidato dal ministro Bersani, che apprezza la soluzione della proprietà nazionale «per il mercato nazionale e l?occupazione». Cosa sia il mercato nazionale non è specificato: se si intenda quello limitato del lavoro aereo o quello vastissimo degli utenti dell?aereo. Contraddizione quindi tra lo steccato della proprietà nazionale e il bene della economia nel suo complesso, che vuole molto servizio e poco costo. Si unisce all?ossimoro Pecoraro Scanio, che vuole un «buon piano occupazionale, di tutela per i consumatori», ma ad un piano occupazionale non gliene importa niente dei consumatori. Convergenze parallele ancora andiamo cercando a oltre trent?anni dalla loro formulazione e oltre quindici dalla denuncia di Cacciari («Ossimori stolti», Roma, Teatro Capranica, sabato 10 febbraio 1990).Evidenziamo qui un conflitto di interessi tra stakeholder che dovremo sviluppare in futuro: c?è conflitto tra lavoratori e consumatori. Perseguire la parrocchiale faccenda della proprietà mette da parte ex ante il beneficio del consumatore italiano e dell?impresa italiana che è grande utente del servizio aereo.

Lo stakeholder unico
Ma Pecoraro prosegue e chiede di «rimuovere il manager che ha portato l?azienda al disastro pur avendo uno stipendio enorme». Memoria corta su due fronti: primo, il male di Alitalia non viene dai pochissimi anni di gestione Cimoli; Cimoli sta ad Alitalia come Umberto II al Regno d?Italia; secondo, carità di parte vorrebbe che tenesse conto che Cimoli era manager portato alle Ferrovie dal primo Prodi. Pecoraro guardava il dito dello stipendio del manager invece che la luna del buco di bilancio sociale che quel dito indica. Miopia legale: Cimoli aveva un contratto blindato come si conviene ai manager che accettano le missioni impossibili per cui la spesa è già fatta tanto vale portarne a casa i benefici. Spara sul pianista e ignora l?assenza di un meccanismo che tenga la memoria dei fatti, che racconti la storia delle ricapitalizzazioni nel lungo termine: quanti soldi ha avuto Alitalia dallo Stato negli ultimi 30 – 40 anni, da quando Gregory Peck e Spencer Tracy arrivavano a Ciampino con la LAI – Linee Aeree Italiane ai nostri giorni, passando per l?Iri. Manca un report di lungo termine, squisita missione del bilancio sociale e non si capisce chi debba esserne autore, forse gli uffici studi di Camera e Senato.Notabene: si criticano qui ministri della corrente amministrazione ma non si implica approvazione della precedente amministrazione che ha ammantato il problema nel tricolore della compagnia di bandiera e ha erogato il miliardo di cui sopra. E il sopra ricordato criterio di memoria vale anche per la critica ai politici: nei decenni tutti hanno pagato pegno ad Alleanza Nazionale, protettrice dei piloti in omaggio al machismo di tale professione, suppongo.Si sente dunque la mancanza di un bilancio sociale di lungo termine per Alitalia, che includa il disvalore del capitale umano di quella società tra i beni intangibili: il personale viziato è la peggiore passività di Alitalia. Un bilancio che non trascurerà il danno arrecato dalla cosiddetta compagnia di bandiera alla bandiera stessa. Bene scriveva infatti Antonella Baccaro sul Corriere: «Chissà se questa volta smetteremo di chiamarla compagnia di bandiera».

Paolo D?Anselmi

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.