Cultura

Il diritto di guerra entra nel videogame

Esperti del Comitato internazionale della Croce Rossa lavorano con gli sviluppatori per integrare il diritto umanitario internazionale nei giochi così da penalizzare i giocatori che compiono crimini di guerra, anche se virtuali

di Antonietta Nembri

Più realistici della realtà. Molto più di un gioco. I videogiochi oggi sono sempre più perfetti, sempre più coinvolgenti e non solo. Il soggetto di molti videogames sono guerra e scontri, sparatorie, azioni che coinvolgono e affascinano adulti e bambini. Alcuni scenari di giochi sono anche utilizzati per l’addestramento militare. Ora dopo i militari ora anche il Comitato della Croce Rossa Internazionale ha iniziato a collaborare con gli sviluppatori di video giochi, con un obiettivo: far prendere coscienza ai giocatori dell’esistenza di regole e di provare in loro gli stessi dilemmi che attraversano la mente dei veri soldati.

In un comunicato è spiegata la nuova strategia della Croce Rossa e le ragioni che l’hanno spinta a entrare nel mondo dei videogames. Il diritto umanitario internazionale dovrebbe avere un suo spazio nei videogiochi dal momento che questi giochi simulano delle situazioni di guerra e quindi possono offrire la possibilità di far conoscere il diritto legato ai conflitti armati.
In pratica come nella vita reale le azioni e le decisioni prese durante il gioco dovrebbero avere delle conseguenze virtuali per i giocatori che dovrebbero essere ricompensati se rispettano il diritto internazionale e ricevere delle sanzioni in caso di violazioni gravi, ovvero nel caso compiano “crimini di guerra”.
Il timore che ha spinto il comitato ginevrino a intervenire nel mondo dei videogiochi è che alcuni scenari virtuali possano indurre a una banalizzazione di gravi violazioni del diritto internazionale di guerra. Tra le principali violazioni vi sono alcuni scenari che descrivono l’uso di torture negli interrogatori, gli attacchi deliberati contro i civili, l’uccisione di prigionieri o feriti e gli attacchi contro il personale e le strutture sanitarie, come le ambulanze. Ci sono del resto giocatori che “sparano” su tutto quello che si muove.

A Ginevra, quartier generale della Croce Rossa, non ci si illude certo di poter eliminare le scene violente dai videogiochi, o quelle di violazione dei diritti che avvengono purtroppo sui campi di battaglia virtuali come in quelli reali, ma per il Cicr è utile che i giocatori «comprendano cosa è accettato e cosa è vietato nel condurre un combattimento a partire dalle ricompense e dalla sanzioni inserite nel gioco stesso». La Croce Rossa non demonizza i videogiochi e neppure si interessa a tutti quelli che simulano guerre, come i videogames ambientati in epoche storiche come il Medioevo o quelli  di battaglie fantascientifiche intergalattiche.

L’attenzione al mondo dei videogiochi nasce anche dal potere di influenza che potrebbero avere sui giovani e sulla percezione che gli stessi potrebbero avere di fronte alle azioni agite in un contesto di conflitto reale. Insomma il timore è che i giocatori assuefatti ai crimini di guerra assorbiti giocando percepiscano in modo distorto gli stessi nella realtà.
Ma alla fine non c’è il rischio che i videogiochi diventino noiosi? Non deve essere certo un piacere giocare e vedere aprirsi una finestra che ferma l’azione ricordando le violazioni e le regole da seguire come in un minicorso di diritto di guerra. Nelle intenzioni degli esperti della Croce Rossa che stanno lavorando con gli sviluppatori dei giochi vi è il riuscire a integrare il diritto dei conflitti nei giochi stessi così che il giocatore possa vivere un’esperienza realistica confrontandosi con i dilemmi che vivono i combattenti su un vero campo di battaglia.
Piccolo particolare, sottolinea il comunicato, il successo di vendita delle nuove versioni che applicano queste regole prova che l’integrazione del diritto di guerra non crea problemi al loro successo commerciale.

 


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