Leggendo l’articolo “il diritto dei deboli ispira la letteratura” uscito il 28 febbraio u.s. sul Corriere della Sera a firma di Claudio Magris mi sento di fare una breve considerazione riguardo alcuni aspetti del ‘diritto dei deboli’ che colpiscono in particolare modo le persone con una malattia.
Se è vero che il rispetto reciproco parte proprio dalla considerazione delle fragilità e debolezze altrui, questa considerazione necessita di protezione giuridica per poter essere salvaguardata.
In particolar modo nelle culture occidentali, la malattia è sempre considerata in senso negativo. Non viene mai percepita come una condizione dell’esistenza. A queste latitudini, la malattia spesso porta con sé il concetto di morte e quindi fa molta paura. È da contrastare, come la morte, in ogni modo. Come ha scritto lo storico Philippe Ariès: ‘nel nostro tempo si è proibito il tema della morte come nel secolo scorso quello del sesso. La contingenza, la finitezza, la fragilità, la sofferenza e la morte, come la sconfitta come ogni tipo di perdita, non fanno parte del quadro mentale dell’uomo occidentale. Sono diventati temi proibiti, difficili.
La malattia, la morte, il tempo, tutti nemici del presente. Siamo chiamati ad essere sempre perfetti. Non è permessa la debolezza e, ancora meno, la stanchezza. Insomma, non è permesso “non farcela”. E questo ancora di più è chiesto ad una persona malata, la quale è chiamata ad essere sempre straordinaria. Ma per chi non ce la fa, per chi è semplicemente ordinario, il rischio è di cadere in forti sensi di colpa con conseguente isolamento ed esclusione sociale e a quel punto è più facile essere portati ad accomodarsi nel pietismo o nell’assistenzialismo, vedendoli come unici strumenti possibili di ricompensa affettiva e sociale.
Credo che tra i diritti dei deboli ci debba essere il diritto ad esercitare le proprie difficoltà e le proprie debolezze, appunto. Il diritto dei deboli deve potere dare quel 20% di risorse, corpo e anima a coloro che lo chiedono ma deve considerare la debolezza non solo come l’opposto della forza, bensì come possibile stato dell’esistenza. Bisogna permettere che le persone possano dire “non ce la faccio”.
Un mondo più onesto è, di conseguenza, un mondo più libero.
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