Non profit

Il diritto alla salute che non c’è

Purtroppo non vengono rispettati i diritti del malato in carcere

di Cristina Giudici

Siamo un gruppo di detenuti del centro diagnostico terapeutico di Secondigliano, Napoli. Con la collaborazione di alcuni medici coraggiosi abbiamo fondato il progetto ?Comunicare? per migliorare la conoscenza sull?infenzione Hiv, una specie di fantasma che aleggia, si aggira negli istituti di pena, corre veloce nelle sezioni e infine si sofferma in ogni cella come oggetto di dibattito. Che fine faranno gli appestati di fine secolo? Nonostante tutte le iniziative come la nostra e nonostante le difficoltà delle ?sbarre?, la tendenza a ghettizzare è sempre più forte e i centri clinici sono diventati dei cronicari coatti per lungo degenti. Innanzitutto per l?estrema lentezza burocratica. Per fare gli esami per la ricerca dei linfociti, bisogna seguire una contorta e misteriosa procedura e si arriva al paradosso che un detenuto malato debba pagare di tasca sua trecentomila lire per evitare l?ulteriore condanna del ricovero nel reparto detenuti dell?ospedale di Cotugno (in locali fatiscenti senza possibilità di socialità e aria). A volte succede anche che, nonostante il detenuto abbia pagato le suddette analisi, sia costretto al trasferimento e al ricovero in ospedale per venti giorni perché la somministrazione di medicinali specifici (gli inibitori delle proteasi ) non può avvenire senza il beneplacito delle strutture ospedaliere esterne. Vorremmo potere ricevere informazioni sulla ricerca contro la malattia, ma anche costruirci un?idea di futuro che ci consenta di riabilitare il nostro cervello e il nostro corpo. Non vogliamo essere abbandonati al nostro destino, con la prospettiva di uscire di qui solo con i piedi in avanti. Vogliamo poter far sentire la nostra voce. Perché non costruire un day hospital impiegando al meglio le risorse professionali che ci sono in carcere? Perché non stabilire un contatto permanente con i Sert di zona che ci informino sui medicinali da prendere? Ma soprattutto quello che ci manca è un supporto psicologico che ci aiuti a superare il peso della malattia e la possibilità di socializzare con gli altri detenuti, luoghi consoni dove trascorrere l?ora d?aria o svolgere qualche attività fisica, cose che possano aiutarci a ricostruire la nostra identità. Mario Ricci, Secondigliano Caro Mario, la ringrazio della lettera e del materiale sul vostro progetto ?Comunicare?. Alcuni mesi fa ho visitato il carcere di Secondigliano, ma la direzione del carcere non mi ha permesso di visitare il centro clinico dove sono ospitati (ospitati?) i detenuti affetti da Hiv. So che per voi è molto difficile accedere alle strutture del Sistema sanitario nazionale e quindi quasi impossibile ottenere gli inibitori di proteasi necessari. Mi risulta inoltre che la reclusione sia molto più severa e che siete soggetti a un isolamento continuo. La sanità penitenziaria è separata da quella nazionale e molte carceri sono prive di convenzioni con le Asl. Una recente circolare dell?amministrazione penitenziaria sull?assistenza e cura dei detenuti sieropositivi ha però raccomandato la somministrazione degli inibitori ai detenuti malati (vd. a pag 20). Rappresenta un?inversione di tendenza, ma i tempi morti del carcere sono difficili da abbattere. In ogni caso la terremo informata. Continui a scriverci e a farci sentire la sua voce .

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.