Famiglia

Il diario di una “lillipuziana”. Genova, la messa è finita

Un anno dopo il G8. Cronaca poco retorica di Deborah Lucchetti, della Rete di Lilliput.

di Redazione

La mente e il cuore pieni di emozioni, riflessioni e domande che si materializzano con improvvisa concretezza dopo una settimana intensa per gestire e promuovere le iniziative delle Rete Lilliput un anno dopo il G8, pensare ai relatori, all?accoglienza delle persone, alla logistica, ai rapporti con la stampa e poi partecipare alle molteplici altre offerte che hanno, a mano a mano, preso corpo e vita in città, incontrare volti e persone da tutta Italia. Negli occhi ho ancora lo sguardo fiero e segnato dei ragazzi della Diaz, le loro telefonate. «Ciao, sono una ragazza della Diaz, mi hanno detto che posso parlare con te per avere ospitalità questa notte… ». Rimango muta per un istante, quanto e come deve essere cambiata la vita di questi ragazzi, per arrivare a nominarsi attraverso quell?esperienza orribile, quasi riconoscendovi pezzi di un?identità mutata. Martedì 16 luglio Incontro Alex Zanotelli insieme a Frei Betto prima dell?assemblea che abbiamo organizzato a Palazzo San Giorgio cui parteciperanno oltre 700 persone; mangiamo un pasto veloce a casa mia e mi emoziono alla presenza di questi uomini grandi, testimoni diretti di una realtà orrenda e inaccettabile che reclama giustizia e cambiamento radicale, qui ed ora. Testimoni attenti e mai ideologici, sguardi impietosi verso le nefandezze del mondo ma straordinariamente teneri verso gli uomini e le donne in cammino, ai quali chiediamo una profezia laica in grado di offrirci parole e riflessioni rivolte al futuro, che abitino la memoria senza rifugiarvisi. Di Alex mi rimane il suo silenzio, l?ascolto attento che mi ha dedicato. Cercavo le sue parole e mi sono rimaste le mie. Sabato 20 luglio Piazza Alimonda è gremita dalla mattina; un pellegrinaggio continuo di gente di ogni tipo, il clima è festoso e triste, si avverte un senso di solidarietà forte; Haidi e Giuliano Giuliani sono sempre presenti, è impressionante osservare quanta gente li va a salutare, a ringraziare; emerge un tessuto di relazioni tutt?altro che casuale, fortemente voluto in questo anno doloroso e frenetico, una sorta di ricostruzione silenziosa di rapporti tra persone e vite, una trama di resistenza ordita al femminile, che si affianca alla necessaria e continua presenza mediatica, alla presa di parola pubblica. Arriva di tutto sull?altare laico di Carlo, noi lillipuziani appendiamo la nostra maglietta, ai genitori giungono addirittura carciofini sott?olio e altro cibo preparato con cura da mani esperte. Una festa di civiltà, qualcuno canta e legge poesie, turbata solo dalle incursioni dei leader politici che, seguiti dalle telecamere, rompono inaspettatamente una strana intimità, causando malumore e contestazioni; quella piazza è di tutti ma non c?è spazio per le parate formali. Mi faccio cerchio e fisso a lungo l?asfalto dove è caduto Carlo, è coperto di kefia e biglietti; è curioso, solo oggi mi ritrovo qui e riesco a ricordarlo per nome, come un amico, un fratello, uno che è stato accanto a me; è stato un percorso di avvicinamento lento e doloroso, quella morte è di tutti ed è anche mia, ma l?ho dovuta conquistare giorno dopo giorno per sfuggire all?odioso esercizio liturgico che ha fatto spesso di questo giovane ragazzo un martire, un eroe da sventolare; questo percorso lo devo soprattutto a Haidi, che ci ha restituito pazientemente la vita di suo figlio fuori da ogni retorica, incarnandola profondamente nella realtà del limite. Domenica 21 luglio è ormai la mezza passata quando arrivo al Teatro della Corte. La sala è gremitissima. Incrocio molti compagni cui chiedo come sta andando il dibattito; raggranello i commenti per cercare di farmi un?idea; c?è resa dei conti tra le varie anime del movimento mi dicono alcune, tutti cercano di rivendicare i 150.000, sbuffano altri. Gli interventi che ascolto e si susseguono sono per la quasi totalità dei portavoce nazionali dell?ex-Gsf. Solo raramente siedono alla presidenza volti non conosciuti, voci dai forum sociali; quando prendono la parola però dicono cose estremamente concrete, parlano di azioni e mobilitazioni locali, per bloccare la distruzione delle falde acquifere sul Gran Sasso, per esempio, o della necessità di produrre azioni più forti e incisive contro le guerre attuali e future. è definitivamente in crisi la logica dei portavoce unici. Sono le 15.30, è molto tardi e bisogna proiettare Bella Ciao; la platea insorge, vuole continuare a discutere. Comincia la liturgia delle immagini, le emozioni si addensano dentro e fuori di me. è un film durissimo, tutto spostato sulla violenza e sulla repressione, non dà scampo; delle esperienze nonviolente di piazza nessuna traccia. C?è qualcosa di crudele in questa pratica collettiva, forse la voglia di esorcizzare definitivamente la paura e il disgusto o il bisogno di proiettare su quello schermo la rabbia ancora tutta intera. C?è qualcosa che non va, che ritrovo e ritorna continuamente: il lutto non è ancora elaborato e la celebrazione prende il posto della politica. Ore 17.30, la messa è finita. Adesso avanti, senza voltarsi più indietro. Deborah Lucchetti


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