Volontariato

Il diario di un sociologo a Forte Belvedere. Come erano belle le ragazze a Firenze

Sono le figlie, curiose e attente, di un’Italia che imprevedibilmente tiene. Un’Italia sorprendente e consapevole. Dove si era nascosta questa Italia?

di A. Capannini

Comportamenti di pace. Non riesco a trovare nessun?altra formula per sintetizzare quanto ho visto a Firenze, in quelli che, a dar retta ai media e ai tanti profeti di sventura, avrebbero dovuto essere i ?giorni dell?ira?. Non le parole (pure importanti, e giuste) dette nelle tante assemblee. Non i documenti conclusivi, le mozioni, gli appuntamenti futuri (pure impegnativi, e indiscutibilmente utili). Ma la pratica quotidiana, composta, gentile, di decine di migliaia di persone che per tre- quattro giorni hanno convissuto ?amichevolmente?, incontrandosi, confrontandosi, scoprendosi uguali e diversi, vicini e molteplici, sfuggendo alla tentazione dell?invettiva, al gusto dell?anatema, alla voglia dell?egemonia per privilegiare invece l?arte dello ?stare insieme? e del ?comunicare? realmente. Rumore di fondo Questa mi sembra essere stata la vera, inestimabile novità di quell?esperienza: una pratica dell?agire pacifico che è la migliore, più profonda e radicale risposta ai venti di guerra che ci assediano. Se devo dichiarare cosa di Firenze mi è rimasto più a fondo dentro, direi il ?rumore?. Un rumore quieto, felpato, fatto di tante voci individuali che s?intrecciano, si frammischiano, si salutano, s?informano e si scambiano opinioni senza mai rompersi o salire troppo di tono; un concerto polifonico in sordina che sale dai piccoli gruppi in cammino nel centro (all?inizio quasi deserto) della città, dai rivoli di ragazzi che escono dalla stazione di Santa Maria Novella e s?incamminano verso la zona franca della Fortezza, e poi dalla folla ordinata, paziente, che attende di varcare il portone d?ingresso. Persino il silenzio, diventa una forma di espressione. Appena entrati nel recinto della Fortezza, sulla sinistra, un grande stanzone è a disposizione di chi intende trascorrere un po? del suo tempo in silenzio, vicino ad altri come lui, condividendone la sospensione della parola e scrivendo su grandi fogli di carta alle pareti un proprio pensiero. Chi vuole può anche firmare due grandi bandiere della pace che verranno inviate a Sharon e a Bush. Un po? a destra, invece, in un grande spazio libero, centinaia di banchetti espongono i materiali e le pubblicazioni di un?infinità di gruppi d?ogni genere, ambientalisti, socialisti, del commercio equo e solidale, di volontariato, di militanza politica, d?impegno civile, di finanza etica, d?informazione dal basso, in quindici lingue diverse? La folla sciama lentamente tra le magliette, i posters, i documenti politici e le mostre di denuncia, mettendo insieme i brandelli di un puzzle collettivo inafferrabile nella sua intera estensione e proprio per questo affascinante. Sala piena Entro nella immensa sala della Ronda. 2.500? 3.000 persone? Non so dire quante, con precisione, ma tante, tante quante non ne avevo mai viste, tutte insieme, ad ascoltare non un concerto, ma un dibattito su pace e guerra, ognuno con la sua cuffia della traduzione simultanea, per capire inglesi, albanesi, spagnoli, francesi, polacchi, russi, turchi, baschi, tedeschi (pochi), greci (tanti), italiani, tutti quelli che, rispettando stranamente i tempi, si avvicendano al microfono. Chi, mi chiedo, quale partito, anche grande, anche di massa, quale istituzione (esclusa la Chiesa) è oggi in grado di mettere in piedi una cosa del genere, con questa estensione trans-nazionale, con questa intensità d?attenzione? E ringrazio il coraggio degli amministratori fiorentini, del sindaco, del presidente della Regione, che hanno rischiato in proprio, per mettere a disposizione tutto questo; e permettere, appunto, il ?miracolo?. Tanti, intensi In altri quattro o cinque ?contenitori?, sparsi nell?area della Fortezza, intorno alla Polveriera, che invece è significativamente vuota (qualcuno suggerisce «mettiamoci la Fallaci»), si stanno svolgendo incontri analoghi: il che vuol dire che almeno 15mila persone sono coinvolte contemporaneamente in questo ?lavoro dialogico? di massa, mentre altre decine di migliaia partecipano ai workshop tematici, agli incontri mirati, ai gruppi di discussione sparsi in tutta la città. Mi colpiscono soprattutto i giovani. Tanti. Intensi. E tra loro le ragazzine, più attente dei loro coetanei maschi, facce pulite, molte con un quadernetto in mano, prendono appunti con diligenza, si scambiano brevi commenti sottovoce, resistono fino alla fine, tre, quattro ore di fila. Da dove vengono fuori? Mi chiedo. Per quale strana alchimia questa società apparentemente così degradata, sfibrata nei suoi fondamenti etici, riesce ancora a produrre un??antropologia virtuosa? di questo tipo? Nonostante un sistema dell?informazione abominevole. Nonostante un sistema politico impresentabile. Nonostante il silenzio e la resa, l?estenuato disincanto, delle generazioni precedenti. Evidentemente qualcosa deve essersi salvato nel profondo (elementi delle strutture fondamentali: qualcosa nelle famiglie, qualcosa nella scuola, frammenti di memoria, istinti di sopravvivenza), se queste facce sono qua, con questi sguardi puliti. Oltre la paura Per venire hanno dovuto varcare molte barriere, fisiche e mentali, vincere molti veleni, la paura e l?allarme seminati a piene mani dalle prime pagine dei giornali, la profezia delle ?devastazioni certe?, la diffidenza e l?inospitalità minacciate, il sorriso di disincanto e compatimento di troppi ?luoghi del mondo?, di quelli che pensano di saperla lunga e d?immaginare già come andrà a finire (?male!?). E hanno vinto. L?abbraccio dei fiorentini di periferia il sabato pomeriggio, le bevande e le tazze di tè offerte dalle finestre, il tardivo ma entusiasmante riaprirsi della gente alla festa dell?accoglienza, li hanno premiati. E’ un buon inizio.


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