Formazione

Il diario di Anna, dal Kenya. L’unica cosa che non sopporto è la miseria

"Vivo in uno slum e vedo fame e Aids. E' dura. Soprattutto per chi da qui non se ne andrà" (di Anna Ballardini).

di Redazione

Mi chiamo Anna Ballardini e sono originaria di Preore, in provincia di Trento. Ho 26 anni. Vivo a Baba Yetu (in kiswahili «Padre Nostro»), la baracca che ospita la Comunità Papa Giovanni XXIII nello slum di Soweto, a Nairobi, in Kenya. Baba Yetu è una casa famiglia per le accoglienze d?emergenza, pronto soccorso e centro d?ascolto. Sono in servizio civile, a disposizione per aiutare nelle situazioni che quotidianamente si presentano. Accompagno malati all?ospedale, medico ferite, accolgo madri con i figli sbattute fuori da casa, porto le medicine a bambini tubercolotici senza genitori. Mi occupo dei bambini accolti, in particolare di Hellen, una bimba di un anno che ha perso la madre, morta di Aids, e che ha vissuto con noi nel tempo necessario a trovare una famiglia keniota che l?adottasse. Faccio un po? la mamma (per Hellen), la sorella (per le ragazze) e la zia (dei bambini accolti per brevi periodi). A Soweto sto bene. La Comunità Papa Giovanni XXIII è presente da otto anni. È ormai integrata nel villaggio. La comunità di Soweto mi ha ?adottata?, me ne sento parte. Certo, la situazione non è facile. Credo che a portarmi in questa baracca, e a farmici rimanere, sia stata una profonda «passione per l?incontro», il desiderio di incontrare le persone che mi stanno intorno, di dare un nome e un volto alle persone. Non mi piace la logica delle categorie, quella che ci fa parlare di «senza dimora», di «zingari», di «poveri»… se si accetta la logica delle categorie, è poi facile affiancare a una categoria l?etichetta di «nemico», e scivolare velocemente in infernali spirali di guerre globali e infinite. Dall?altra parte c?è il desiderio di opporre la «forza dei rapporti» ai «rapporti di forza» (come ben si espresse un vescovo congolese) che ci stritolano in una logica di scontro. Gli inconvenienti sono sempre da mettere in conto, quando ti butti in un?esperienza così. Ma credo facciano parte della vita, niente di cui spaventarsi. È vero, ci sono stati momenti difficili, come quando sei uomini armati sono entrati nella baracca e, con la minaccia delle pistole, ci hanno derubato. Be?, non auguro a nessuno di vivere un?esperienza simile! Per fortuna, in quell?occasione nessuno si è fatto male. Non va sempre a finire così, purtroppo. La vita a Soweto è intrisa anche di morte. Vita e morte si rincorrono di continuo. Oggi ci sei, domani non si sa. A volte, gli amici in Italia mi dicono: «Il difficile è per te, perché loro ci sono abituati!». No, non ti puoi abituare ad avere la pancia vuota, a vedere tuo figlio che piange perché ha fame e tu non hai nulla da mangiare… non ti abitui alla miseria!

Anna Ballardini


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