Sostenibilità

Il detersivo alla spinaè la vera rivoluzione

L'intervista Guido Viale: ecco perché prevenire è meglio che curare

di Redazione

Guido Viale ha scritto Un mondo usa e getta nel 1994. Proprio allora si iniziava a parlare di emergenza rifiuti in Campania.
Ecomondo: Cos’è cambiato in quattordici anni in Italia?
Guido Viale: C’è ancora un’enorme carenza culturale non solo da parte della gente, ma soprattutto di chi ci governa.
Ecomondo: Napoli è un po’ il simbolo di questo modo di pensare.
Viale: Vede, la crisi campana è molto più grave di quanto sembri. Primo, perché milioni di tonnellate di rifiuti industriali tossici e nocivi sono stati sversati illegalmente sul territorio. Nel triangolo della morte tra Caserta, Acerra e Napoli il tasso di diffusione di tumori e di malformazioni neonatali è senza riscontri in Europa. Secondo, perché per la bonifica dei non si sa bene se 5 o 7 milioni di tonnellate di ecoballe serviranno decine di miliardi di euro. Terzo, perché la produzione di rifiuti è altissima. Le offerte di riceverne in altre Regioni non solo saranno pagate care in termini politici, ma non serviranno a molto: ogni giorno la Campania produce 7.200 tonnellate di immondizia. La Sardegna ha accettato di smaltirne 10mila. Sono quantità irrisorie rispetto alla produzione. Mi sembra che nessun’autorità abbia idea di cosa fare, a parte spingere per la costruzione di inceneritori.
Ecomondo: Non sono piuttosto termovalorizzatori?
Viale: Praticamente la stessa cosa. Sono impianti che bruciano i rifiuti con conseguenze nocive per l’uomo e l’ambiente e che d’altra parte rendono pochissimo in termini energetici. Mentre riciclare permette di recuperare l’energia impiegata nella produzione, questi impianti riescono a fornire tra il 18 e il 20% di energia contro il 36% di una centrale termoelettrica di vecchia generazione. Si prevede di costruire inceneritori qui e là senza considerare che la normativa nazionale prevede di raggiungere il 65% di raccolta differenziata nel 2012.
Ecomondo: Lei pensa che sia un obiettivo realistico?
Viale: Sì, avviando la raccolta differenziata porta a porta. D’altra parte, qualche anno fa ci voleva parecchio tempo per avere buoni risultati, oggi invece anche nel giro di un anno è stato possibile raggiungere fino al 60% in alcuni Comuni italiani. Ci si è arrivati anche in una città come San Francisco in poco più di un anno.
Ecomondo: E allora perché le imprese che gestiscono i rifiuti chiedono la costruzione di nuovi impianti?
Viale: Perché bruciare è più comodo che riciclare. Buttare i rifiuti nell’inceneritore richiede lo stesso know how che metterli in discarica. Inoltre in passato si è approfittato degli incentivi per le energie rinnovabili. Oggi in Lombardia esistono già 17 impianti di incenerimento e si prevede di realizzarne altrettanti. Potremmo trovarci, se raggiungeremo il 65% di raccolta differenziata, a dover importare rifiuti dall’estero per far funzionare gli impianti, come fa la Germania.
Ecomondo: Ma tornando alla Campania, lei pensa che oggi la soluzione sarebbe la raccolta differenziata?
Viale: In questo momento certamente ci vuole molto di più. Servono provvedimenti straordinari per eliminare la produzione dei rifiuti a monte. Ad esempio bisognerebbe vietare la vendita di stoviglie in plastica, di pannolini usa e getta, eliminare gli imballaggi già al supermercato, appena venduto il bene. Di sicuro il problema non si risolve con il termovalorizzatore di Acerra, uno dei più grossi disastri industriali del Paese che non è imputabile alla camorra, ma a un’azienda del Nord Italia che ha vinto l’appalto nel 1997 con l’imbroglio.
Ecomondo: Il caso Campania si estenderà all’Italia?
Viale: Ci sono esperienze positive, ad esempio in Piemonte e in Trentino, per prevenire la formazione di rifiuti da imballaggio. Certo, c’è ancora uno spreco tremendo di materiale. Solo da noi la birra si vende ancora in lattina, mentre in moltissimi Paesi europei c’è il sistema del vuoto a rendere. Lo stesso vale per il latte, mentre per i detersivi, l’olio, la pasta, il riso, si sta diffondendo pian piano la vendita di prodotti sfusi. Si riempie un contenitore e lo si riutilizza anziché buttarlo. Non è un ritorno al passato, ma una visione tecnologica del futuro.


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