Welfare
Il detenuto cambia medico
Scompare la figura del medico penitenziario e i carcerati avranno gli stessi diritti degli altri cittadini: esenzione dai ticket, prevenzione e cure immediate.
Dopo dieci anni di controversie e due anni e mezzo di levate di scudi, è arrivata l’ora X per i medici penitenziari. Il primo gennaio del 2000 il carcere aprirà le porte al sistema sanitario nazionale. Il decreto legislativo per il riordino della medicina penitenziaria, approvato nel novembre del 1998 e diventato decreto attuativo nel giugno del ’99, trasferirà i presidi tossicodipendenze e Hiv (attualmente di competenza del ministero di Giustizia) sotto l’egida delle Asl regionali.
Per i sostenitori, soprattutto medici dei Sert, si tratta di una riforma che potrebbe cambiare il volto del carcere, trasformando i detenuti in cittadini a pieno titolo. Per i nemici della legge, medici incaricati dipendenti del ministero di Giustizia e funzionari del Dap, si tratta invece dell’ennesimo pasticcio della ministra della Sanità, Rosi Bindi, la quale ha varato un accordo interministeriale a costo zero che nella migliore delle ipotesi non cambierà niente. Vediamo di capirci qualcosa. Ogni anno il ministero di Giustizia sovvenziona la propria medicina (5000 medici per 52mila detenuti) con un budget di 200 miliardi, senza riuscire ad affrontare l’emergenza sanità. Circolazione di batteri e infezioni a causa del sovraffollamento, mancanza di farmaci, obbligo del pagamento del ticket per esami specialistici, maltrattamenti mai registrati dai medici, omissioni di soccorso sono purtroppo all’ordine del giorno.
Se alla nuova legge, che prevede un periodo di sperimentazione in alcune regioni ( si parla di Lazio, Toscana, Basilicata e Trentino) verranno date gambe per camminare, ci saranno molti cambiamenti. I detenuti entreranno a far parte della categoria di soggetti deboli, da assistere, prevenire e aiutare. Potranno far ricorso alla medicina preventiva, saranno esenti dal ticket per fare un esame e potranno essere curati in tempo reale. Francesco Ceraudo, presidente dell’Amapi, l’associazione di medici penitenziari, è sicuro che la riforma fallirà. «Non si fanno le nozze con i fichi secchi», provoca Ceraudo. «Questa riforma è stata attesa per 30 anni, ma è stata realizzata senza risorse e quindi non funzionerà. È vero, i detenuti potranno usufruire di maggiori diritti, ma è anche vero che per assisterli ci vogliono fondi e invece il ministro della Sanità ha promesso solo demagogia. E poi i medici che verranno dall’esterno non sapranno nulla dei detenuti e dei loro bisogni. Quindi il bagaglio di esperienza dei medici penitenziari si perderà». Perché? «Perché la legge prevede per i medici l’incompatibilità fra i doppi incarichi», aggiunge Vittorio Lodolo, medico responsabile del centro clinico del carcere di Opera, «perciò la maggioranza dei medici che hanno un contratto di consulenza in carcere dovranno scegliere se lavorare in un istituto penitenziario per due milioni al mese oppure andarsene». Quindi la riforma sarà lettera morta? «Assolutamente no», afferma Sandro Libianchi, medico responsabile del Sert del carcere romano di Rebibbia e membro della commissione interministeriale che ha varato l’accordo per il passaggio dalla medicina penitenziaria a quella nazionale.«Ci sono ancora alcune nicchie di potere dove un pugno di medici vogliono conservare il privilegio del doppio lavoro e doppio compenso, privilegio che il sistema nazionale ha abolito da 10 anni. Con la riforma ci sarà maggiore trasparenza, i medici non saranno più soggetti al volere del direttore dell’istituto e, davanti alla necessità di un ricovero urgente, prevarrà il diritto alla salute e non le leggi non scritte del carcere. E poi c’è il capitolo tossicodipendenza: le crisi di astinenza in carcere si risolvono senza medicinali né metadone, costringendo i detenuti a sofferenze indicibili. Con il trasferimento delle competenze dai presidi alle Asl non accadrà più. E non parliamo della droga che circola dentro e delle overdose che non vengono diagnosticate. Insomma, anche se il Dap ha paura di perdere potere con l’entrata in vigore della legge, finalmente i detenuti avranno diritto ad essere curati come dei cittadini normali». Della riforma della sanità penitenziaria si parlerà in un Convegno dedicato al tema, il prossimo 20 dicembre nel carcere di Rebibbia a Roma.
Che bella legge, è quasi un sogno…
Se la legge fosse destinata, (magari solo una volta per vedere che effetto fa), a essere applicata, potremmo dire di essere alla vigilia di una vera rivoluzione. Il decreto legislativo n. 230 di riordino della medicina penitenziaria prevede che i detenuti, italiani e stranieri, anche senza permesso di soggiorno, abbiano gli stessi diritti dei cittadini liberi. Incredibile. Il Servizio sanitario nazionale fornirà a tutti un’apposita Carta dei servizi sanitari regionali e ciclicamente si consulterà «con rappresentanze di detenuti e internati, e organismi di volontariato». Inoltre sarà tutto gratis perché, come dice la legge nel primo articolo, «sono esclusi dal sistema di compartecipazione alla spesa di delle prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale». Ai carcerati non parrà vero. Tutta questa grazia a loro che per ottenere una visita con urgenza, devono fare lo sciopero della fame! E come se non bastasse ci dicono anche che di fronte a ritardi e mancata realizzazione del progetto obbiettivo salute da parte delle Regioni (tempo massimo un anno) il Consiglio dei ministri potrà nominare commissari ad acta. Benissimo. L’assistenza, sempre secondo il decreto, sarà completa. Non come ora, dove si cerca di tappare le emergenze che vengono valutate tali dalla frequenza o l’intensità delle urla dei detenuti, ma ci saranno visite mediche al momento dell’arresto e al momento del rilascio. Fantastico. Poi ci saranno interventi di prevenzione, cura e sostegno nel disagio pschico. Un’ottima legge quindi. Ora, solo un suggerimento. Che fare delle mense penitenziarie, del cibo scadente (e scaduto) che affligge i detenuti, soprattutto stranieri, che non hanno soldi per fare ricorso al sopravvitto, dove una mela può costare anche 2000 lire?
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