Politica

Il decreto start up è salvo

«Oggi la Camera voterà la fiducia e domani il decreto start up sarà legge». Lo assicura Antonio Palmieri (Pdl), dall'Aula. Che dice: «Ma io estenderi la definizione per farvi rientrare l'impresa sociale e per potenziare il crowdfunding»

di Sara De Carli

È stato il primo a rassicurare, rispondendo all’allarme che stava montando anche attorno all’hashtag #firmateildecreto. Il decreto sulle start up va ratificato entro il 18 dicembre, pena decadimento. Pochissimi giorni, oggettivamente. Una miseria, visto il clima politico. Ma già ieri sera Antonio Palmieri, deputato Pdl e responsabile internet e nuove tecnologie del PDL, del decreto Start Up oggi al voto della Camera su twitter scriveva: «È già salvo». Oggi l’onorevole è in Aula e conferma: «Salvo è salvo».

Sicuro?
Noi questa sera voteremo la fiducia e domani completeremo il decreto, perché come sa la fiducia è il primo passo dopodiché gli ordini del giorno e il voto finale sono due atti successivi, che faremo domattina. Per cui diciamo che a Santa Lucia vedrà la luce il decreto.

Però si vota senza emendamenti…
Per forza. In realtà non è cambiato nulla rispetto a quanto era previsto che accadesse. Il Governo ha fatto una epocale riforma costituzionale senza farla, abolendo di fatto il bicameralismo perfetto. I disegni di legge prima stavano 25 giorni alla prima camera e 25 nella seconda, ora li tengono 50 giorni nella prima camera, dove fanno tutto, e gli ultimi dieci giorni li mandano alla seconda camera, che mette solo il timbro e non può fare niente perché mettono la fiducia. Questo percorso era già scritto il 18 ottobre, anche se capisco le preoccupazioni legate alle turbolenze politiche degli ultimi giorni… Ma guardi che non è cambiato niente, perché il nostro atteggiamento del Pdl è comunque responsabile sulle grandi questioni, e questa è una grande questione.

Procedure a parte, nel merito dei contenuti, non è un peccato? Ci sono alcune modifiche apportate al Senato che sono state molto criticate, a cominciare dall’abbassamento dal 30 al 20% dell’investimento in ricerca necessario per essere considerati “imprese innovative”…
Io ne avrei avuti moltissimi di emendamenti da presentare, perché la parte dell’Agenda digitale è insufficiente rispetto alla proposta del Pdl e anche al lavoro che abbiamo fatto alla Camera con Gentiloni e Rao. Io non sono soddisfatto del testo venuto fuori dal Senato, in quel passaggio il provvedimento non è migliorato, ma comunque presentare emendamenti sarebbe stato un esercizio inutile, mancando i tempi.

Siamo tutti d’accordo che questo è “meglio di niente”, anche Luca De Biase lo ha scritto, ma quali punti deboli ha il decreto a suo parere?
Le critiche partono da un perimetro di definizione delle start up troppo stretto, già in partenza, perimetro che contraddiceva l’indagine che lo stesso Passera aveva fatto, dove per esempio – solo per stare a temi cari a lettori di Vita – rientravano nelle start up anche le iniziative del sociale e del terzo settore. Queste di fatto con i criteri odierni invece sono esclusi, perché io credo che nessuna non profit abbia brevetti. Quindi punto primo, bisognerebbe allargare il perimetro, comprendendo anche il non profit e l’impresa sociale. Altri due punti sono la mancanza di attenzione all’e-commerce, noi avevamo previsto di dare alla Rai obblighi molto stringenti per fare sia sui canali generalistici, sia su quelli tematici e online, iniziative di alfabetizzazione digitale, che avrebbere un impatto positivo sulla fascia di popolazione di età più avanzata che ha difficoltà a relazionarsi con l’e-commerce e il coinvolgimento della Rai per superare il digital divide italiano. Queste due cose, fatte con Gentiloni, sono state cassate.

Perché comunque è un passo avanti importante?
Dà un punto operativo e di innovazione culturale. Io penso soprattutto al crowdfunding, uno strumento che è già attivo per il terzo settore, utilissimo da un lato per superare la stretta creditizia che le banche hanno fatto nei confronti delle imprese e che dall’altro è una forma di coinvolgimento, di finanziamento democratico, di cooperare del profit e delle imprese sociali… Un modello utile di partecipazione, adeguato ai tempi che stiamo vivendo. Questo nel decreto c’è, ovviamente limitatamente alle imprese startup come sono definite dalla legge: il mio auspicio è che prossimamente, anche vincendo le resistenze della Consob, questo si possa estendere all’intero mondo delle imprese, del privato sociale come del profit.
 


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