Economia

Il debito è peggio del maremoto

Il grande Paese travolto dal disastro spende lo 0,6 del suo Pil in spesa sanitaria. E il 9% in restituzione dei capitali avuti dal Fondo monetario e da altri Paesi (di Marco De Ponte).

di Redazione

L?Italia ha annunciato un contributo di 70 milioni di euro per l?emergenza in Asia. Per quanto è oggi possibile comprendere sulla base di quanto riportato dai media, in tale stima verrebbe incluso un po? di tutto: dai contributi diretti a quelli gestiti attraverso altri Paesi o istituzioni. I conti tornano solo fino a un certo punto: non risultano più di tre milioni di euro allocati dalla Cooperazione e per il resto si dovrebbe trattare di operazioni di riconversione del debito, dove il condizionale è d?obbligo, viste le incertezze di queste ore. Sembra che siamo alle ?solite?: si tende a ricorrere alla cancellazione o ristrutturazione del debito quando è utile a gonfiare i numeri dell?Aiuto pubblico allo sviluppo.
Questa osservazione sul valore di annunci governativi troppo altisonanti rispetto alla realtà non ci impedisce tuttavia di chiedere oggi al governo italiano un impegno esemplare appunto sulla remissione del debito; infatti gli sforzi per il soccorso alle regioni devastate non possono essere vanificati proprio dai meccanismi di restituzione del debito.
Le stime correnti fissano a quasi 2 miliardi di euro gli aiuti pubblici promessi dalla comunità internazionale: un volume di risorse che ciascuno dei Paesi colpiti dallo tsunami ripaga con la restituzione del debito solo in poche settimane.
I dati della Banca mondiale alimentano la nostra preoccupazione. Nel 2002, l?India ha ripagato circa 10 miliardi di euro (al tasso di cambio corrente euro/dollaro). Ma è il caso dell?Indonesia ad avere un carattere emblematico: è uno dei Paesi maggiormente indebitati al mondo; ha restituito il debito al ritmo di circa 240 milioni di euro ogni settimana; secondo le Nazioni Unite, nel 2001 circa il 9% della ricchezza nazionale è stato assorbito dalla restituzione del debito, mentre la spesa pubblica per l?educazione ha assorbito l?1,3% e quella per la sanità lo 0,6%. Non possiamo poi dimenticare la denuncia di Jubilee 2000: il debito dell?Indonesia sotto la dittatura di Suharto è passato da 2 a 96 miliardi di euro tra il 1967 e 1998. Oggi, di fronte al disastro e con un diverso clima politico, l?eredità di quel debito appare ancora più pesante.
ActionAid International – direttamente impegnata nelle aree più colpite dallo tsunami in un?ottica di sviluppo di lungo periodo – sente l?obbligo di interrogarsi sulla razionalità di un sistema internazionale che toglie in misura maggiore rispetto a quello che dà, anche in situazioni eccezionali come quella di queste settimane. Se si procedesse alla cancellazione del debito, questi Paesi avrebbero a disposizione ingenti risorse per la ricostruzione. Strade, scuole, ospedali e programmi di sostegno alla popolazione potrebbero essere realizzati, anche quando l?attenzione dei più verso questa tragedia sarà calata.
L?Italia ha una legge all?avanguardia sul debito dei Paesi poveri, la 209 del 2000; l?articolo 5 prevede in caso di disastri la possibilità di un?immediata cancellazione. Questa procedura è stata applicata nel 2002 a favore del Vietnam; i crediti dell?Italia verso India e Indonesia erano stimati in 223 milioni di euro nel 2002. Ci auguriamo, oggi, che l?Italia spinga anche altri Paesi a cancellare il debito in occasione della riunione, il 12 gennaio, del cosiddetto Club di Parigi.

Marco De Ponte*
*ActionAid International

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