Sostenibilità
Il Danubio si tinge di rosso
Wwf e Greenpeace Ungheria: «Basta industrie pericolose. Chi inquina paghi»
di Redazione
Secondo gli ambientalisti il disastro minerario-chimico-ambientale in Ungheria ha riversato almeno un milione di metri cubi di fanghi rossi dalle vasche a cielo aperto della Ajkai Timföldgyár (Mal Zrt ) che hanno invaso un’area di almeno 40 km2, facendo vittime e feriti e minacciando la vita delle persone e la salute dell’ambiente per i prossimi anni, azzerando la fauna e avvelenando le falde idriche di acqua potabile con metalli pesanti: piombo, arsenico, cromo e cadmio a contenuto altamente alcalino (pH 13″) che hanno ricoperto di limo tossico i centri abitati e le campagne di Kolontárt, Devecser e Somlóvásárhely.
Attualmente si sta cercando di neutralizzare gli acidi e i gessi leggermente radioattivi finiti nel bacino del fiume Marcal, l’acqua alcalina mescolato ai fanghi rossi potrebbe raggiungere in meno di 5 giorni prima il fiume Raba e poi il Danubio.
Il cedimento della diga dell’impianto di alluminio, dove erano stoccati fanghi in quantità tre volte superiore a quanto consentito, ha provocato oltre cento feriti e almeno 6 morti, ma il Wwf Magyarország (Ungheria) sottolinea che sono periti nel disastro moltissimi animali domestici e il fango rosso ha cancellato la quasi totalità delle popolazioni di pesci e delle altre forme di vita nel corso superiore del Marcal.
Secondo il ministro ungherese dell’ambiente, Zoltan Illes, un disastro di queste dimensioni non è mai avvenute in Europa e chi lo ha causato deve pagare i costi di mitigazione.
Il Panda ungherese però denuncia che altri due depositi simili, che contengono complessivamente circa 50 milioni di m3 di fanghi rossi, sono stati realizzati in aree sensibili, in particolare quello di Almásfüzitoi, che è praticamente sulle rive del Danubio, mettendo in pericolo l’ambiente acquatico, la fauna e le falde idriche.
Anche secondo Gábor Figeczky, il direttore del Wwf Magyarország, «Questo è un episodio senza precedenti, che minaccia seriamente l’equilibrio ecologico della regione, evidenzia anche la vulnerabilità dell’acqua potabile».
Greenpeace Magyarország, dopo aver espresso il suo cordoglio sincero per le persone colpite, in primo luogo ai parenti delle vittime, si dice «Profondamente indignata per una catastrofe causata dal cinismo dei capi e dei responsabili della Mal Zrt, che hanno prodotto disinformazione. Il giorno dopo il disastro sembra chiaro che la loro responsabilità è evidente che i troppi fanghi rossi che non potevano essere stoccati sono la causa principale del disastro. Già prima del giorno del disastro le immagini satellitari permettevano di prevedere la possibile rottura della diga».
Per Szegfalvi Zsolt, direttore di Greenpeace Ungheria, «E’ l’ennesima catastrofe causata dalle imprese che dovrebbero essere punite penalmente e coinvolte nei risarcimenti per i danni al patrimonio e sociali che hanno arrecato. Greenpeace ritiene che questa sia una grande lezione per i disastri causati dalle industrie. Per fare in modo che simili tragedie non accadano più, bisogna urgentemente rafforzare i poteri, le capacità e l’indipendenza delle autorità ambientali. Ci sono molte minacce simili nel Paese, che sono state in grado di ottenere i permessi necessari per operare. I cittadini ungheresi chiedono la certezza per la loro vita, che qualsiasi attività industriale pericolosa venga sottoposta ai più rigorosi controlli possibili e che qualsiasi interesse delle attività commerciale pericoloso o l’argomento della creazione di posti di lavoro non prevalgano sulla sicurezza. Greenpeace pensa quindi che una modalità particolarmente pericolosa della produzione industriale richieda un completo spostamento di paradigma, basato sulla totale sfiducia dello Stato e sul principio di precauzione, che dovrebbe trovare la massima applicazione. Non possiamo più consentire di impiantare attività industriali che possono provocare il massimo danno senza che se ne assumano la piena responsabilità finanziaria».
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