Economia
Il curioso caso della bad bank
Diversi paesi europei, nel corso della crisi che ha investito gli istituti finanziari, hanno messo a punto una bad bank, un meccanismo che con soldi pubblici ha consentito alle banche di disfarsi dei crediti deteriorati. Una soluzione però che non ha impedito alle banche di evitare condotte di "azzardo morale" viste nel passato
Diversi paesi europei, nel corso della crisi che ha investito gli istituti finanziari, hanno messo a punto una bad bank, un meccanismo che con soldi pubblici ha consentito alle banche di disfarsi dei crediti deteriorati (quelli difficilmente esigibili) per evitare il fallimento. Ora è il momento dell’Italia. Il progetto di bad bank prevede la creazione di una società a partecipazione statale o privata con il compito di liberare le banche italiane di quasi 200 miliardi di sofferenze bancarie, pari 20% dei crediti totali. Ma ci sono molti compromessi organizzativi, strutturali e finanziari da considerare. La bad bank beneficerebbe infatti di una garanzia statale, e quindi di denaro pubblico, che potrebbe far alzare il prezzo di mercato dei crediti deteriorati con ricadute negative sui contribuenti. Secondo la Commissione si andrebbe incontro a una violazione della normativa sugli aiuti di Stato.
Dopo un anno di scontri, le trattative con la Commissione europea per impedire che il provvedimento venga bocciato come aiuto di Stato sembrano adesso vicine a un accordo. Il ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, ha inviato ai tecnici di Bruxelles, una proposta più leggera ed efficace, come lui stesso l'ha definita, che supera il concetto di bad bank di sistema. In sostanza ogni banca può creare una propria società veicolo a cui trasferire gli attivi deteriorati che saranno poi rivenduti sul mercato eventualmente ad altri operatori specializzati. Ma la vera novità è che saranno le banche a scegliere se offrire o meno agli acquirenti la garanzia pubblica a copertura di eventuali perdite. In altre parole la garanzia avrà un prezzo di mercato che dovrebbe riflettere il rischio effettivo dell’operazione. Per Padoan si tratta di una soluzione che non danneggerebbe gli istituti che operano sul mercato senza sostegno pubblico.
Bisognerà aspettare due settimane prima di conoscere l’esito finale del confronto. Nel frattempo la teoria secondo la quale la bad bank farebbe ripartire i prestiti a famiglie e imprese e di riflesso l'economia italiana, continua a far discutere. Molti si chiedono dove sia finita la liquidità con cui Mario Draghi ha inondato le banche con l’obiettivo di stimolare la ripresa. Per altri la bad bank è un malcelato tentativo di rimettere in circolazione titoli tossici che ancora intasano i bilanci degli istituti di credito. Il sistema bancario, invece continua a sostenere che la creazione di una bad bank potrebbe scongiurare l’applicazione della ormai famosa clausola del bail in che stabilisce che in caso di crisi bancarie a pagare saranno gli azionisti, obbligazionisti e correntisti sopra i 100mila euro. E poi si è sicuri che una bad bank, anche nella versione made in Italy, non finisca comunque per gravare sulla spesa pubblica? Perché se l'idea di creare singole società veicolo, con o senza garanzia statale, è semplice, metterla in pratica sembra piuttosto complicato. Infine c’è chi ritiene non sarà sufficiente ripulire i bilanci dai crediti cattivi per restituire fiducia ai risparmiatori nel sistema bancario.
La bad bank rimane comunque una figura molto ambigua. Dall’inizio della crisi finanziaria esplosa nel 2008, l'esperienza europea è fatta di storie di successi e fallimenti. Ogni bad bank è stata adattata al sistema finanziario nazionale, così in Spagna, Irlanda e Regno Unito è stato un successo, mentre in Austria e Slovenia i risultati sono stati deludenti. In tutti i casi la soluzione della bad bank non ha comunque impedito alle banche di evitare condotte di "azzardo morale" viste nel passato. È difficile quindi immaginare un lieto fine. Oggi tutto è ricominciato come se niente fosse.
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