“È un’innovazione, e ogni innovazione è una deviazione dalla retta via che, come tale, porta all’inferno.” Questa fu la base sulla quale il mufti di Aleppo formulò la sua fatwa all’inizio del XIX secolo, quando i pomodori giunsero finalmente alla sua città. Gli abitanti del Levante si stupirono che i pomodori fossero considerati verdure, con quel colore rosso che li spinse a ribattezzarli “culo del diavolo”. Il colonialismo aveva introdotto quel frutto rosso solo per minacciare l’autentica cucina levantina e stravolgerne l’identità. Per questo, sebbene i pomodori fossero fra le verdure che l’umanità aveva conosciuto grazie all’agricoltura delle popolazioni native americane, nei paesi del Levante sono ancora oggi conosciuti come “i Franchi”, in riferimento alla loro provenienza europea, oppure come “bandura”, storpiatura del nome italiano “pomodori”.
Nonostante quest’antipatia per il pomodoro, e il timore di un’aggressione culturale da parte sua, non passarono che pochi anni che la coltivazione e il consumo di pomodori invasero l’intero mondo arabo. Anzi, divennero l’ingrediente principale dei piatti nazionali più popolari, come il celebre kushari egiziano, un miscuglio di lenticchie, riso, pasta, ceci, cipolla, aglio e peperoncino, tenuto insieme dalla salsa di pomodoro. Piatto che rappresenta la manifestazione più evidente di una delle componenti della personalità egiziana contemporanea: il caos creativo o, appunto, il kushari.
L’universalità del pomodoro, del caffè e della pizza risiede nella loro capacità di mutare forma con ogni recipiente, cioè con ogni individualità e ogni cultura, diventando uno spazio libero per la manifestazione della differenza e il distinguersi delle identità. Al contrario della globalizzazione rappresentata da McDonald’s e dalla Coca Cola, pomodoro, pizza e caffè non cercano di inglobare (si potrebbe dire in-globalizzare!) in un unico stampo tutte le persone, tutte le identità, tutte le società e tutte le culture, cancellando ciò che distingue le une dalle altre attraverso una gigantesca macchina propagandistica che le riduce a stereotipi.
I valori umani, al contrario dei pomodori, sono sempre stati universali, un solo spirito per milioni di volti, oceano nel quale sfociano e si completano i cammini di fiumi scavati dalle esperienze di molte persone, società e culture. Ma i valori umani, oggi – come i pomodori – devono affrontare la sfida della globalizzazione, il rischio di dipendere da un marchio commerciale o da un’etichetta che fa spazio solo a chi riesce a rinunciare alla propria identità, trasformandosi in un Charlie, un Nazzareno o un rettangolino arcobaleno qualunque.
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