Lavoro sociale
Il crollo dell’apprendistato nei servizi sociali
Questo genere di contratti registra una crescita nel terziario, ma nei servizi di welfare ha segnato una brusca frenato come emerge dal rapporto realizzato dal centro di formazione Ifoa condotto da Adapt. I dati

Si riduce il ricorso all’apprendistato nei servizi sociali e alla persona. Sono sempre meno gli occupati assunti con il contratto che punta a favorire la qualificazione professionale dei giovani e il dialogo tra il sistema formativo e il mondo del lavoro.
Un declino in controtendenza
Gli apprendisti impiegati nel settore dell’assistenza sono diminuiti dell’8,1% passando da 55.344 nel 2019, l’anno prima della diffusione dell’infezione da Covid, a 50.899 nel 2022. Un declino che non si è arrestato con la fine della pandemia a differenza di quanto accaduto in altri ambiti economici.
Non si tratta dell’unico dato in controtendenza. Mentre in generale i contratti di apprendistato hanno registrato una crescita nel settore terziario complessivamente considerato, quelli siglati nei servizi di welfare hanno segnato, come visto, una decisa frenata.
È quanto emerge dal rapporto L’apprendistato in Italia. Potenzialità, criticità e prospettive di riforma, una ricerca del centro di formazione Ifoa condotta da Adapt, il centro studi e ricerche sulle relazioni industriali e il lavoro fondato da Marco Biagi.
Numero di apprendisti per attività economica, 2017-2022

Nove le attività economiche prese in esame: metalmeccanica, attività manifatturiere, costruzioni, commercio, servizi di alloggio e ristorazione, supporto alle imprese, altre attività di servizi, altre attività e, appunto, servizi sociali e alla persona. L’indagine ha acceso i riflettori sui tre tipi di apprendistato previsti dalla normativa: primo, secondo e terzo livello.
Una flessione generalizzata
La flessione dei contratti nei settori dell’assistenza è evidente in tutte e tre le tipologie. Per quanto riguarda l’apprendistato di primo livello, quello finalizzato cioè al raggiungimento della qualifica o del diploma professionale dei giovani tra i 15 e i 25 anni, i contratti siglati sono scesi nel 2022 a 1.496 dopo aver raggiunto il numero di 1.699 nel 2019. Un calo del 14,5%.
La percentuale si è dimezzata scendendo a -7.9% nel caso dei contratti di secondo livello, il cosiddetto “apprendistato professionalizzante” per i giovani fra i 18 e i 25 anni, ma non è proprio una buona notizia. Si tratta infatti della modalità più diffusa.
Nel 2022 sono stati firmati 49.323 accordi di formazione e tirocinio a fronte dei 53.533 del 2019. Infine, il terzo livello o apprendistato di alta formazione e ricerca, la tipologia meno diffusa in generale ma più avanzata: è rivolto a chi ha tra i 18 e i 29 anni e mentre apprende il mestiere contemporaneamente studia per conseguire un titolo come laurea, master, dottorato di ricerca o diploma di istruzione tecnica superiore (Its). Ebbene, gli apprendisti più qualificati impegnati nel settore dei servizi sociali e alla persona hanno imboccato una strada in discesa passando nel tempo da 132 nel 2017 a 112 nel 2019 a 80 nel 2022.
Poco diffusa ancora la cultura della formazione
Secondo gli autori dello studio le cause principali della crisi dell’apprendistato e del mancato decollo delle formule più innovative come quello di terzo livello sono molteplici: il succedersi di riforme che ha alimentato la complessità interpretativa dello strumento formativo; la preminenza di piccole o piccolissime aziende nel tessuto produttivo italiano, che con più difficoltà fanno ricorso a questo contratto; gli oneri formativi da sostenere o la concorrenza esercitata da altri contratti più convenienti sul piano economico – o che comunque non richiedono l’adempimento di obblighi formativi. Infine, una cultura della formazione ancora poco diffusa in gran parte delle imprese così come sistemi formativi poco inclini al dialogo con il mondo produttivo.
Tabella dalla ricerca: L’apprendistato in Italia. Potenzialità, criticità e prospettive di riforma – In apertura foto di Photoshot/Sintesi
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