Mondo
Il coronavirus in Kenya, il diario di Padre Kizito
Come faremo ad isolare i bambini di Anita's Home, Kivuli, Tone la Maji, quando inevitabilmente verrà richiesto di farlo? E i 22 bambini che la polizia ci ha portato solo due settimane fa, che sono attualmente a Ndugu Mdogo perché non hanno alcun contatto con le famiglie di origine? Tante domande difficili.
Nairobi, sabato 14 marzo 2020
Lo aspettavamo, e anche in Kenya è arrivato coronavirus. Tutto è successo in meno di 24 ore. Ieri mattina abbiamo convocato un incontro dei responsabili delle case di Koinonia per decidere insieme le indicazioni da dare ai bambini. Dopo poche ore è stato dato l’annuncio di un primo caso, a Ongata Rongai, la cittadina alle periferia di Nairobi dove abbiamo Tone la Maji e Malbes. È una donna rientrata pochi giorni fa dagli Stati Uniti. Solo settimana scorsa, mentre io ero in Zambia, un’amica romana che segue un progetto vicino a Tone la Maji, mi scriveva commossa per le preghiere che i nostri bambini facevano per gli ammalati italiani.
Nel tardo pomeriggio dopo la messa coi bambini di Kivuli ho illustrato ancora una volta come devono comportarsi. Trovo difficile spiegare il “social distancing”. Mentre parlo penso che sarà dura cambiare lo stile di vita a Kivuli che è il centro più importante di attività giovanili del nostro grande quartiere. Oltre ai bambini residenti ci sono le attività più svariate, dalla radio comunitaria ai gruppi giovanili, dalla scuola di computer agli intagliatori di legno, e il dispensario, lo studio di registrazione, la squadra di pallacanestro, gli uffici di un paio di grosse ONG. Restare a casa? Quale casa? Sembra impossibile poter sigillare Kivuli, ormai sono oltre mille le persone che ogni giorno vi svolgono le attività più diverse. Forse potremmo riuscirci. Ma se dovessero chiudere le scuole? Dove andranno tutti i bambini del quartiere?
Quando riaccendo il cellulare cominciano ad arrivare i messaggi: chiuso il campionato di calcio (e i nostri di Shalom Yassets sono in testa alla classifica nel loro girone!), cancellati tutti i raduni pubblici, chiusa la borsa locale, i supermercati assaltati e il sapone liquido sparito dagli scaffali… e perfino l’ordinanza che tutti i matatu vengano disinfettati almeno una volta al giorno.
Esco a far due passi. Apparentemente tutto è normale. In centro metri sul nostro lato della Kabiria Road, nelle strutture in muratura (più o meno) a 3 o 4 metri dal bordo della strada conto 32 esercizi (falegnami, barbieri, macellai, riparazioni di telefonini, rivendite di abiti usati, una rivendita di medicinali (difficile chiamarla farmacia) e due chiese. Poi c’è la linea di bancarelle che toccano il bordo della strada, spesso interferiscono con il traffico: rivenditori di frutta e verdure, pesce secco, schede telefoniche, secchi di plastica, bulloni e viti usate, un ragazzo che espone 5 paia di scarpe usate – o rubate? Dall’altro lato della strada è la stessa storia.
Restare a casa? Dov’è la casa? Forse una stanza dove le sera si mettono coperte per terra perché ci siano abbastanza spazio per stare tutti sdraiati. Servizi in comune. Acqua alla fontana. Se chiuderanno le scuole dove andranno i bambini? Inoltre per la maggioranza di questi piccoli commercianti se il mattino non ci si alza presto e non si avvia il proprio negozietto, la sera non ci sarà niente da mettere in tavola, a fine mese non ci saranno i soldi per pagare l’affitto. Vedo Peter, l’ometto che ogni mattina accende un braciere a pochi passi dal cancello di Kivuli e arrostisce pannocchie di mais per i passanti. Gli va bene se guadagna 50 o 60 scellini al giorno, mezzo euro. “Se non potrai restare in strada, come farai?” Scuote la testa e ride. Non vuol pensarci.
Scrivo che sono la quattro del mattino. Sui social circolano voci incontrollate che i casi accertati siano già più di 10. Chi, in caso di gravi complicazioni, avrà accesso a cure mediche dignitose? Non dico a terapie intensive. Mi consolo pensando che Koinonia è fatta di giovani, che non sono quasi mai vittime del coronavirus.
Nairobi, lunedì 16 marzo 2020
Ieri pomeriggio il presidente Uhuru Kenyatta ha annunciato che sono stati trovati altri due casi di Coronavirus e di conseguenza, in aggiunta ai provvedimenti presi lo scorso venerdì, oggi, lunedì 16 marzo, saranno chiuse tutte le scuole primarie e secondarie, mercoledì chiuderanno i collegi (boarding schools), venerdì le università e istituti superiori. Per i prossimi 30 giorni confini saranno sigillati e solo i cittadini keniani (o gli stranieri provvisti di permesso di lavoro) potranno entrare in Kenya. Le imprese vengono invitate a far lavorare i loro dipendenti da casa. Si invita anche a non usare contanti, ma carte di credito e Mpesa (transazioni col cellulare), e a minimizzare assembramenti, servizi religiosi, funerali, matrimoni, e a non fare spostamenti inutili per evitare i contatti sui mezzi di trasporto. I centri commerciali devono mettere a disposizione dei clienti acqua e sapone o disinfettanti, e disinfettare regolarmente i locali.
Per il momento alcune disposizioni sembrano più degli inviti o esortazioni che obblighi. Non c’è un esplicito invito a restare a casa.
Insomma siamo anche noi entrati nel tempo del coronavirus, e, visto il ruolo un po di guida che il Kenya ha in questa area del mondo, c’è da aspettarsi che nel giro di 24 ore annunci simili verranno dai paesi vicini, Zambia inclusa.
A Koinonia stamattina avremo un incontro per vedere come proteggere i nostri ragazzi e prevedere come agire quando la situazione precipiterà, come inevitabile, Per esempio, dove andranno gli studenti che sponsorizziamo nelle scuole superiori, inclusa la nostra Domus Mariae, quando le scuole chiuderanno? La quasi totalità di loro proviene da Kibera e Kawangware, quartieri con situazioni igenico-sanitarie disastrose. Normalmente vanno a “casa” per le vacanze, perché non ci sono alternative, ma quando i contagi aumenteranno sarà come mandarli al macello. Non capiamo bene dove si situano le nostre case nelle disposizioni governative, non sono ne scuole ne istituti. Come faremo ad isolare i bambini di Anita’s Home, Kivuli, Tone la Maji, quando inevitabilmente verrà richiesto di farlo? E i 22 bambini che la polizia c ha portato solo due settimane fa, che sono attualmente a Ndugu Mdogo perché non hanno alcun contatto con le famiglie di origine? Tante domande difficili.
Cercheremo, come sempre, che siano i ragazzi stessi ad indicarci la direzione, facendoci conoscere i loro problemi e cercando insieme le soluzioni individuali migliori per tutti.
Ieri, prima dell’annuncio, ho visto i ragazzi della Domus Mariae per la messa e poi quelli di Tone la Maji. A loro sembrava ancora tutto normale, si sono preoccupati quando ho prospettato la chiusura delle scuole che poi è stata annunciata. I più piccoli, come Mwangi che è la mascotte di Tone la Maji (e, secondo lui, futuro campione di calcio), non capivano e mi si stringevano intorno confusi e spauriti, mentre io cercavo di dire “ma è proprio questo che ho appena detto di non fare, non ammassatevi tutti insieme!”.
Temo che nonostante le buona volontà del governo keniano di tenere i contagi sotto controllo, di fatto a Nairobi ci avviamo verso una soluzione tipo quella auspicata da Boris Johnson in Gran Bretagna: la cinica accettazione di aspettare che si attivi l’immunità di gregge.
Rientrato a Kivuli ho visto l’immagine del papa a Roma che va a pregare nella chiesa di San Marcello al Corso. Quella foto, quell’atteggiamento del papa ci dice che la preghiera non è un amuleto o un juju contro il male, ma una strada di vita, di condivisione, di servizio. Come le preghiere che hanno espresso i ragazzi di Tone la Maji alla fine del nostro incontro.
Nel Vangelo di ieri abbiamo sentito Gesù dire alla Samaritana: “Ma viene un’ora, ed è adesso, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità”. Non nelle chiese, nelle liturgie, nei codici di diritto canonico, nelle sofisticate interpretazioni, ma in Spirito e verità. Non sono un esegeta, ma a me pare di capire che la verità dello Spirito di Dio sia una sola: “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”.
Nota Bene. Ringrazio tutti coloro che hanno reagito al mio post dell’altro ieri con parole di amicizia, incoraggiamento e condivisione. Siamo tutti sulla stessa barca. Anche se alcuni hanno i remi, e altri no.
Padre Kizito
Per conoscere, supportare, partecipare: www.amaniforafrica.it
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.