Cultura

Il coraggio, un campo di battaglia

di Maria Laura Conte

Alcune parole sanno mettere le ali. Non per perdersi via nel vento, ma per direzionare meglio il volo e arrivare dritte all’anima di chi ascolta.

Non è romanticismo, è Omero. Quindi epica, sangue, ira, tanta ira, bellezza e armi, sirene e mari in albe sconfinate. Tutto l’umano più avventuroso e coraggioso.

Ed è proprio coraggio una delle parole dotate di questo potere, almeno prima dell’ultima stagione che lo ha spaccato in due.

È più coraggioso chi esce e affronta di petto il mostro della pandemia, scansa regole considerate buone solo per “difendere i vecchi”, oppure chi sta agli appelli, resta a casa, evita i mezzi pubblici e luoghi affollati? Chi pretende di andare a sciare o chi ci ha già rinunciato per questo inverno? Chi attende il vaccino o chi ha già dichiarato che no, non intende farlo?

Qual è il profilo autentico del coraggio?

La sua origine lontana ci conduce al provenzale coratge, derivato dal latino coraticum, a sua volta da cor, cuore. E qui potremmo pure arrenderci subito, perché cuore non è un sostantivo, piuttosto un universo. Allora proviamo a trattenerne solo una piccola porzione.

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Nei secoli si è prestato a declinazioni vastissime soprattutto perché indica sia un organo fisico, quello decisivo che con le sue pulsazioni ossigena tutto il nostro corpo, sia il centro della nostra vita non carnale, osiamo pure dire spirituale, che tuttavia al pari del primo batte e alimenta tutte le nostre periferie.

Oggi in Occidente è il termine che designa la parte emozionale di noi (e infatti a Sanremo spopola), contrapposto al cervello. Che importanza ha il cervello, paragonato al cuore? Si chiede Virginia Woolf nel suo romanzo più bello. Ma questa contrapposizione, così come la riduzione da cui proviene, non ci garbano, ci vanno strette al confronto con la vita reale.

Attrae ancora, nonostante l’anzianità, la tradizione biblica per la quale il cuore è l’unità stessa della persona: ne abbraccia intelligenza e coscienza, volontà e pensiero, emozioni e memoria. Definisce il luogo dove abita Dio, domus interior, la casa interiore.

Con una caratteristica non insignificante: nella Bibbia il cuore sente, nel senso proprio di “avere orecchie”. Nella sua capacità di ascolto maturano le scelte audaci di lasciare tutto e partire, rispondere alle chiamate che si manifestano nelle forme più stupefacenti. Nel suo deposito sono custodite le esperienze più preziose, che decidono il passo di ogni giornata.

Solo se ciò che si sente scende fino al cuore, e lì si impianta, allora qualcosa può germogliare, e la persona fiorisce.

Non sembrano accidentali alcune corrispondenze tra tradizioni: il cuore ascoltante non richiama alla mente solo i patriarchi biblici, ma di nuovo Omero e il suo Ulisse che, di fronte a una prova, carico di agitazione, si rivolge al suo cuore, gli parla rimproverandolo: “Sopporta, cuore” . E quel cuore sofferente ma non ancora vinto, fermo all’obbedienza, resta costante. L’eroe calcolatore sta lì, a dialogare con quel suo cuore totale, per decidere la prossima mossa.

Sopporta ancora, cuore mio: hai sopportato cose peggiori (…)

Così diceva, rimproverando il suo cuore in petto;

il suo cuore obbediente resisteva e sopportava,

tenace

Omero, Odissea

Non è dunque un luogo quieto, appunto, quanto invece un campo di battaglia, sul quale si confrontano passioni opposte di noi, si dibattono scelte controverse, responsabilità e follia.

Al punto che può pure ammalarsi, e la peggiore delle patologie non è tanto quella che causa il cuore spezzato o infranto, che pur duole, neppure quella che lo infiamma e fa ardere. Piuttosto è la malattia che lo indurisce, la sclerocardia, perché deprime gli slanci, chiude ogni possibile apertura, gli toglie capacità di sentire, di ascolto. Dove più dilagano cuori sclerotici, più servono norme e leggi che sopperiscano con rigore e multe alla mancanza di empatia e apertura.

Questa la fitta matassa che sta dentro al coraggio.

Per salvarlo dal dualismo e recuperare la sua natura originaria, forse, si può ripartire da questa sua radice. Coraggio ha in sé tutti questi piani complessi (chi ha detto che sono belle solo le cose semplici?), ma su tutti gettano una sorta di ordine le orecchie buone per ascoltare.

Per cui coraggioso è chi sente, ascolta. Non si lascia sfuggire il contesto, le voci e i bisogni che ha intorno, compie le sue scelte a partire da questa collezione. A volte chiedono la pazienza (come in Ulisse) di stare fermi o addirittura di indietreggiare. Altre volte l’azzardo contrario, di un passo in avanti.

Il coraggio ha questa dalla sua: the heart is a bloom, il cuore è un bocciolo (cantano gli U2). Sa annunciare una cosa nuova.

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