Non profit

Il coraggio del nuovo

Ci sono dei momenti nella storia di un Paese in cui solo il coraggio di una novità é in grado di rimettere in moto la situazione.

di Giuseppe Frangi

C?è un motivo che ci ha persuaso a dare alla proposta di Luigi Campiglio la copertina di questo numero: è la convinzione che ci sono dei momenti nella storia di un Paese dove solo il coraggio di un?idea nuova, con tutto il suo fascino e il suo carico di incognite, è in grado di rimettere in movimento le cose. L?Italia è certamente un Paese in condizione di stagnazione. Campiglio, con un?immagine certamente ad effetto per un economista compassato come lui, parla di un Paese che sta “rinsecchendosi come una prugna”. Un Paese che invecchia, che diventa via via più periferico nella grande geopolitica mondiale, che ha perso la più pazza delle scommesse: quella di mandare a Palazzo Chigi un imprenditore, nella convinzione che, trattando il governo pubblico con una mentalità aziendale, si potesse invertire il declino. Così non è stato. La ripartenza non c?è stata; anzi l?Italia è sembrata socialmente ancor più paralizzata di prima.
Quel che manca a questo Paese forse è proprio il coraggio del nuovo.
Un?inerzia che in queste settimane si nota ancora di più, per contrasto con quanto accaduto in Paesi vicini.
Prendete la Spagna. Il nuovo non è coinciso con la coloritura politica del fronte che ha vinto a sorpresa le elezioni. Lì nuovi erano i due contendenti (poco più di 80 anni in due?), nuova l?idea di assegnare gran parte dei tavoli di comando alle donne. Oppure prendete la Francia, dove un leader di cui fatichiamo ancora a ricordare il nome, ha sgominato il fronte del primo ministro; e dove sua moglie, una giovane signora, madre di quattro figli, ha strappato il governo della regione alla parte politica che lo aveva in mano da tempo immemorabile. Nulla di eclatante, intendiamoci. Solo un normale ricambio, che in Italia sembra però impossibile. Andremo alle elezioni europee a votare tra vaghe speranze, costretti a scegliere tra schieramenti politici affollati, senza eccezioni, dai soliti noti.
L?Italia è un Paese dove i giochi sembrano tutti bloccati ancor prima del via. Per questo ci è piaciuta, nonostante tutte le riserve che si possano avere sul suo operato, l?uscita del ministro Tremonti nel corso di una giornata di studi milanese. “Ci vuole una rottura di continuità”, ha detto. “Se stiamo fermi sarà la realtà a riformarci”.
La proposta di Luigi Campiglio e di Luigi Bobba certamente rappresenta una rottura di continuità. Una rottura in grado di ridare linfa a una cellula sociale punita da decenni di politiche (e anche di ideologie) miopi. Non si tratta di rilanciare la famiglia come valore morale, perché questa sarebbe un?operazione di sapore un po? clericale, che non troverebbe ormai più nessuna rispondenza in un Paese ormai secolarizzato. Sarebbe come riproporre anacronisticamente un?icona del passato. Si tratta, all?opposto, di rilanciare la famiglia come cellula economica, perché sia in condizione, innanzitutto, di mettere al mondo i figli desiderati (un deficit oggi evidenziato da tutte le ricerche). E poi di costruire quella interconnessione tra generazioni che ne fanno un insostituibile laboratorio di forme sociali.
Per esempio è importante e per nulla retorico il ruolo che la proposta affida alla madre. Perché individua nella figura femminile non solo la portatrice degli interessi del sesso debole (così come vorrebbe un?ideologia contraria a quella clericale, ma altrettanto bloccata), ma la garante degli interessi delle generazioni future. Certamente sentiamo già nell?aria i tanti ?se? e i tanti ?ma? che accoglieranno la proposta. Può essere che siano dei ?se? e dei ?ma? anche assolutamente ragionevoli. Il nuovo del resto porta sempre con sé delle incognite che vanno accettate e semmai aggiustate in corsa. Ma oggi stare fermi sarebbe la scelta peggiore.

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