Medio Oriente
Il cooperante: «Egitto hub umanitario. Ma senza un cessate il fuoco abbiamo le mani legate»
Andrea Sparro, dell’organizzazione umanitaria WeWorld, si trova in Egitto, al Cairo, per coordinare la logistica degli aiuti che devono entrare nella Striscia di Gaza. «Dal Valico di Rafah riescono ad entrare nella Striscia solo pochissimi camion con gli aiuti umanitari, neanche lontanamente sufficienti a soddisfare i bisogni della popolazione»
di Anna Spena
Nella Striscia di Gaza si sta consumando una tragedia umanitaria. E anche per chi vuole e ha le competenze per supportare gli oltre due milioni di abitanti, quasi la metà minori, il lavoro è diventato impossibile.
Il valico di Rafah, al confine con l’Egitto, di fatto resta chiuso. Pochissimi i camion con gli aiuti umanitari che sono riusciti ad entrare nella Striscia e che da soli non riescono minimamente a rispondere al bisogno di una popolazione affamata, assetata e senza medicine. L’Egitto è diventato un hub di coordinamento per gli aiuti umanitari, ma file di tir sono rimaste bloccate al confine. Andrea Sparro, dell’organizzazione umanitaria WeWorld, ora si trova al Cairo per coordinare – in collaborazione con altre ong internazionali e con la Mezzaluna rossa egiziana, il reperimento e il passaggio degli aiuti. L’organizzazione umanitaria italiana è presente, da oltre 30 anni, nei territori occupati della Cisgiordania e a Gaza si è specializzata nell’accesso e nella fornitura di servizi igienico-sanitari di base, oltre a interventi multisettoriali per la protezione della popolazione.
Il valico di Rafah
«Siamo arrivati in Egitto circa 10 giorni fa», racconta Sparro. «Stiamo coordinando l’intervento umanitario da qui. Non è possibile fare altrimenti. Attraversare il Sinai era già complicato prima, ma ora l’unica realtà che ha il permesso esclusivo sul trasporto attraverso il Sinai è la Mezzaluna rossa egiziana. Dal valico di Rafah, per adesso, passano i camion della Mezzaluna rossa egiziana, quelli delle Nazioni Unite e di pochissime altre ong. Di fatto il valico è off limits per la stragrande maggioranza delle organizzazioni internazionali.Ora la Mezzaluna rossa egiziana è per la cooperazione internazionale, e quindi anche per noi, l’interlocutore più importante».
Come arrivano gli aiuti umanitari
«L’unica città del nord dell’Egitto, più vicina al valico, e dotata di un aeroporto e di un porto è Al-Arish. I beni che arrivano lì poi vengono trasportati fino al valico, e lì – per adesso – sono rimasti fermi. Sul fronte della “macchina degli aiuti” in Egitto il sistema esiste e funziona. Ci troviamo davanti a una situazione incredibilmente complessa perché non sono gli aiuti a mancare, ma proprio le condizioni e la possibilità di farli entrare a Gaza. L’autorità egiziana ha più volte dichiarato che quel valico per loro rimane aperto per il passaggio e l’ingresso degli aiuti umanitari per sostenere la popolazione, che continuano a non passare perché il valico è anche sotto il controllo del governo israeliano».
Senza cessate il fuoco gli aiuti restano fermi
«Abbiamo poca visibilità sul futuro», continua Sparro. «Tutto quello che potremmo fare dipenderà dall’aspetto bellico. Senza un cessate il fuoco serio e reale sarà impossibile fare entrare a Gaza gli aiuti umanitari in maniera massiccia. Ma la popolazione ne ha drammaticamente bisogno: prima dello scorso sette ottobre nella Striscia entravano circa 5mila tir carichi di aiuti umanitari al mese: dopo 25 giorni di bombardamenti continui, dopo che la popolazione è rimasta senza acqua e senza elettricità, saranno entrati – sì e no – 150 camion in tutto. Israele ha comunicato che consentirà l’accesso di massimo 40 camion al giorno. Un numero incredibilmente al di sotto del fabbisogno. Potranno poi entrare solo acqua, medicine e cibo. Continuerà a non passare il carburante».
Senza aiuti la gente muore
«Gli aiuti potranno passare solo dall’Egitto perché ci aspettiamo che gli altri due valichi, quelli confinanti con Israele, Erez a nord, per il passaggio delle persone, e Kerem Shalom a sud est, per le merci, saranno definitivamente chiusi. Ma se non vogliamo che la gente muoia dobbiamo accelerare l’ingresso e la distribuzione degli aiuti e consentire l’ingresso di carburante».
La crisi idrica
«Il fabbisogni giornaliero di acqua, stando allo standard minimo stabilito dall’organizzazione mondiale della sanità – WHO, sul contesto palestinese, va dagli 80 ai 100 litri d’acqua al giorno», spiega Sparro. «Oggi i litri a disposizione sono solo sei per ogni persona dentro Gaza, due giorni fa erano tre. E stiamo parlando per lo più di acqua salata, o contaminata. Come WeWorld ci siamo specializzati a Gaza nel settore WASH, il nostro obiettivo principale è sempre stato quello di supportare il delivery dell’acqua. Ma senza carburante è impossibile far funzionare gli impianti di desalinizzazione. Anche ora dall’Egitto ci stiamo concentrando sulla possibilità di fare entrare acqua a Gaza. Un camion può contenere circa 45mila bottiglie di acqua».
Lo staff di WeWorld che si trova a Gaza
«Ci sono dieci persone del nostro staff locale che ora si trovano bloccate a Gaza. Persone che lavorano con noi da anni e sanno come gestire la distribuzione di aiuti dall’interno, ogni giorno controlliamo se sono vive. É terribile questa cosa. Otto su dieci sono sfollate al sud, nelle scuole dell’Unrwa o in abitazioni improvvisate e affollatissime. Due sono rimaste nel nord della Striscia. Un membro del nostro staff in un solo bombardamento ha perso 17 familiari. Chiediamo un cessate il fuoco immediato. Le condizioni umanitarie sono gravissime, gli ospedali al collasso e i medicinali finiti: abbiamo visto le immagini di medici costretti ad amputare arti per terra, sul pavimento, di notte con la sola luce del cellulare per chi riesce a caricarlo. Ma anche davanti a questa tragedia non vediamo nessuna intenzione di fermare l’offensiva».
Photo © Yousef Masoud/Avalon/Sintesi
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