Medio Oriente

Il cooperante da Gaza: «Qui sembra già l’Apocalisse»

Senza un preavviso ufficiale, nella notte tra il 17 e il 18 marzo, l’esercito israeliano ha rotto la tregua con Hamas lanciando l’offensiva “Forza e spada”. Per Giorgio Monti, coordinatore di Emergency nella Striscia di Gaza, una ripresa del conflitto rischia di rendere vani i timidi progressi fatti finora. «La situazione era ed è estremamente drammatica», racconta. Ma con la tregua «almeno era tornata la speranza»

di Francesco Crippa

«Questi poveretti non hanno pace». Commenta così la ripresa dei bombardamenti sulla Striscia di Gaza Giorgi Monti, coordinatore medico della missione di Emergency nell’area. Senza un preavviso ufficiale, nella notte tra il 17 e il 18 marzo l’esercito israeliano ha rotto la tregua con Hamas lanciando l’offensiva “Forza e spada”, che secondo il ministero della Salute di Gaza ha causato 413 morti (ma il dato è in continuo aggiornamento).

Una decisione presa dal premier israeliano Benjamin Netanyahu e dal suo gabinetto di guerra e approvata dagli Stati Uniti, giustificata con la mancata approvazione da parte di Hamas all’estensione del cessate il fuoco proposta proprio dalla Casa Bianca nei giorni scorsi. Una rottura diplomatica che aveva fatto drizzare le antenne a chi vive nella Striscia, ma che non si pensava avrebbe fatto ripartire il conflitto in tempi così rapidi. «Sapevamo che il cessate il fuoco era stato sospeso – racconta Monti a VITA – ma speravamo che la ripresa dell’attacco fosse più una minaccia che una realtà».

Rispetto ai bombardamenti “ordinari”, che vengono annunciati, questa volta è stato diverso. «È stato improvviso e non è stato segnalato, quindi non sapevamo come poterci muovere in sicurezza», spiega il medico di Emergency. Prima della tregua, tra l’altro, era attivo il meccanismo di deconfliction, che permetteva agli operatori umanitari di muoversi in sicurezza previa comunicazione alle forze israeliane. In caso di annunciato bombardamento vicino alla propria abitazione ci si sarebbe quindi potuti spostare spostare in un altro luogo. Ora, invece, la mancanza di comunicazione ha impedito di pianificare un’evacuazione adeguata. «Ci siamo svegliati alle 2.10 della notte», continua Monti. «Le bombe sono cadute piuttosto vicino a casa, infatti si sono aperte le finestre».

La tregua tra Israele e Hamas è durata, in tutto, appena due mesi. Un tempo comunque sufficiente a riportare un debole ottimismo. «Intendiamoci, la situazione era ed è sempre estremamente drammatica, ma almeno c’era speranza legata al fatto che non c’erano bombardamenti continui», fa notare Monti. Timidi miglioramenti si erano visti nella disponibilità di risorse alimentari: «Durante la mia prima esperienza qui, da ottobre a dicembre, non avevo mai visto uovo o polli al mercato, ora invece erano tornati a esserci».

Anche da un punto di vista sanitario la situazione era migliorata. Emergency gestisce due cliniche nella parte sud della Stricia: una, costruita dall’Onu stessa, è operativa da gennaio, mentre l’altra, aperta a ottobre, è gestita assieme a Culture and Free Thought Association – Cfta, una ong palestinese di sole donne. Su entrambe, la pressione si è alleggerita a causa degli spostamenti della popolazione, che con il cessate il fuoco ha iniziato a risalire verso nord. Inoltre, senza bombardamenti i casi di feriti sono diventati sempre meno impellenti, così l’attività principale era diventata quella di medicina di base. «Disturbi della pelle, scabbia, pidocchi, mal di pancia, cose di questo tipo, dovute al fatto che parliamo di persone che vivono nella totale assenza di strutture socio-sanitarie e igieniche e in quelli che sono accampamenti di sfollati e non veri campi profughi», spiega Monti. Che avvisa: «Grazie all’Onu eravamo riusciti faticosamente a far arrivare farmaci e materiale medico, ma non bastano solo che per un po’ di tempo».

Segnali che preannunciavano un’inversione della tendenza erano però già arrivati. «Da almeno una decina di giorni avevamo visto un aumento dei prezzi e una riduzione della disponibilità di alcuni cibi. Non c’erano più carne e uova, mentre le patate erano arrivate all’equivalente di 10 euro al kilo». Dopo l’attacco di questa notte la situazione potrebbe peggiorare rapidamente sotto ogni punto di vista. «Sono molto preoccupato, non lo nascondo. Il cessate il fuoco ha dato un’euforia momentanea alla gente, che si è spostata in massa verso nord, ma tornare in un posto che non ha strutture potrebbe portare a una analoga delusione di massa. In più, una ripresa dei bombardamenti potrebbe spingere a nuovi spostamenti verso sud».

Un danno psicologico che ricade su una popolazione già fortemente esasperata. «In base ai racconti che avevo sentito e letto, prima di venire mi aspettavo di trovare gente combattiva», dice Monti. Quello che si è trovato davanti, invece, è «gente distrutta», su cui adesso pende la minaccia lanciata dal ministro della Difesa di Tel Aviv Israel Katz di aprire (nuovamente) «la porta dell’inferno» sulla Striscia qualora Hamas non dovesse liberare gli ostaggi rimasti. «Spero che sia una dichiarazione fatta per fare paura e non per fare davvero del male», commenta Monti, «perché Gaza sembra già l’Apocalisse. È completamente rasa al suolo e se ricomincia la guerra sarà dura».

Per il momento, Emergency, così come molte altre ong presenti sul campo, naviga a vista. «Abbiamo tenuto chiusa la clinica per evitare che la gente uscisse per venire qui e magari rischiare la vita», spiega Monti. «A volte, per fare del bene si finisce di fare del male». Ma, sottolinea, «siamo impazienti di tornare al lavoro, siamo qui per questo. Sto facendo di tutto per far sì di essere in clinica domani (19 marzo, ndr), ma vediamo cosa succederà».

In questo senso, però, un’indicazione l’ha già data il ministro degli Esteri israeliano Gideon Saar. «Non si tratta di un attacco che durerà un giorno solo», ha spiegato. «L’operazione continuerà nei prossimi giorni».

AP Photo/Abdel Kareem Hana

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