Sostenibilità
Il conto, chi lo paga?
Bilancio (provvisorio) di un disastro epocale. Anteprima dal settimanale VITA in edicola
Dopo oltre due mesi non si sa ancora quando e se si arresterà la fuoriuscita del greggio. Le uniche certezze sono i danni provocati finora. Primo fra tutti il collasso di un mercato ittico da 6,5 miliardi di dollari, che sta riducendo alla fame
la popolazione di Louisiana e Alabama
Sono trascorsi oltre due mesi dall’esplosione del 20 aprile della piattaforma petrolifera Deep-water Horizon, ma al largo del Golfo del Messico è ancora tempo di bilanci provvisori. Non si arresta, infatti, la fuoriuscita di greggio dalla falla; il “tappo” inserito dalla British Petroleum nelle ultime settimane ha avuto solo l’effetto di limitare i danni, riuscendo a raccogliere 15mila dei 60mila barili che si disperdono ogni giorno nell’oceano. Secondo le previsioni più catastrofiche, una soluzione definitiva sarà raggiunta solo in autunno, con il naturale esaurimento della sorgente; quelle più rosee guardano ad agosto, grazie ad un intervento che la BP pondera da settimane e che prevede un’ulteriore trivellazione dei fondali.
Distrutto per sempre
Qualunque saranno i tempi, l’esplosione nel Golfo del Messico è già il peggior disastro ambientale causato dall’uomo che gli Usa ricordino. I danni contati fino ad ora parlano di un ecosistema distrutto per sempre, in una zona, come insegna Kathrina, già fortemente soggetta ad uragani e inondazioni. La marea nera ha toccato le coste di Lousiana, Alabama e Mississipi e minaccia presto di lambire anche le spiagge della mecca del turismo americano, la Florida. Di lì in poi Cuba e Messico sono alle porte. La pulizia delle acque, di cui è incaricata la stessa BP, non ha dato per il momento i frutti sperati soprattutto per l’incredibile carenza di tecnologie adeguate. Il disastro del Golfo del Messico ha messo in luce un’indicibile realtà: le compagnie petrolifere hanno sviluppato strumenti avanzatissimi per trivellare il terreno, ma non hanno fatto quasi nulla per mettere riparo ad eventuali errori. Secondo gli esperti, infatti, la BP riuscirà a pulire solo una minima parte del greggio; la porzione maggiore sarà eliminata dalla natura, e una terza e consistente parte rimarrà invece nell’ecosistema per secoli.
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