Economia

Il contesto

Al centro della bufera finanziaria dell’autunno 2008 gli istituti bancari si riconfermano i protagonisti dell’attualità economica italiana. Sin dalle leggi Amato e Ciampi degli anni 80 e 90 le vicende bancarie hanno rappresentato argomento di interes

di Staff

Al centro della bufera finanziaria dell’autunno 2008 gli istituti bancari si riconfermano i protagonisti dell’attualità economica italiana. Sin dalle leggi Amato e Ciampi degli anni 80 e 90 le vicende bancarie hanno rappresentato argomento di interesse per i media nazionali.

Personaggi come Profumo e Passera sono diventati presenza quotidiana sui giornali e nelle televisioni a seguito della grandi concentrazioni bancarie degli ultimi anni. Gli scandali finanziari come quello della Banca Popolare Italiana o il crack Parmalat con il coinvolgimento della Banca di Roma hanno poi contribuito a riportare l’attenzione sul ruolo della banca nel sistema economico nazionale e sulle conseguenza di una mala gestione di questa.

Il crollo delle borse di questo autunno infine riapre gli interrogativi sui modelli di intermediazione europei ed americani e sul possibile futuro del settore.


Da un intervento di Giovanni Bazoli, Presidente del Consiglio di Sorveglianza di Intesa Sanpaolo, dell’agosto 2008 traiamo una riflessione sulle grandi trasformazioni del sistema bancario degli ultimi venticinque anni.

Secondo le parole di Bazoli, il sistema bancario ha conosciuto due tipi di trasformazioni: le grandi concentrazioni e fusioni e la svolta giuridico-istituzionale. Nella legislazione italiana, ed in particolare con la Legge Ciampi, vi è un passaggio fondamentale da una concezione essenzialmente pubblicistica dell’attività bancaria al riconoscimento della sua natura di attività imprenditoriale e privatistica.

Ma, si chiede Bazoli, una volta riconosciuta alla banca la natura di impresa, si pone un interrogativo: è un’impresa uguale a tutte le altre?


È necessario operare un distinguo tra il modello di intermediazione finanziaria, oggi prevalentemente in crisi, e l’intermediazione economica classica operata negli istituti bancari di modello europeo i quali, pur perseguendo gli obiettivi di efficienza e redditività, sono consapevoli della responsabilità sociale che grava sull’impresa bancaria e se ne fanno carico. In particolare il localismo delle banche italiane si ritrova nel secondo modello.

In generale comunque per la natura dei suoi affari la banca è portata ad operare su due livelli della comunità finanziaria: un livello di rapporti lunghi ovvero il gioco globale della finanza (quello degli scambi immateriali e senza contatto diretto) e il livello di rapporti corti, tipicamente il territorio di appartenenza ove la clientela ha dirette relazioni con i funzionari.


Non a caso gli statuti originari di molte banche pubbliche, ma pure di alcune private, attestano che l’obiettivo di contribuire allo sviluppo economico e civile del territorio di appartenenza ha fatto parte del mandato attribuito ai banchieri, in piena consonanza con l’obiettivo di realizzare profitti a vantaggio degli azionisti.

La definizione di responsabilità sociale d’impresa quale “modalità di gestione strategica dell’impresa, orientata a sviluppare e valorizzare le relazioni con i diversi soggetti con cui l’impresa bancaria ha relazioni continuative”, secondo ABI, fa parte dell’impostazione storica delle banche. La novità nell’applicazione della Corporate Social Responsibility (CSR) risiede quindi nel rendere questo approccio un elemento intrinseco al management ed alla gestione di impresa, nonché comunicarlo.


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