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Il Congo sull’orlo di un nuovo conflitto con il Rwanda

Il presidente congolese Kabila minaccia l'invio di 10mila soldati nell'est del Paese per difendersi dall'invasione del Rwanda, che nega la presenza dei suoi soldati su suolo congolese

di Joshua Massarenti

Il presidente congolese Joseph Kabila ha annunciato che un contingente di 10mila soldati verrà inviato per respingere le truppe ruandesi, dislocate secondo l’Onu al confine orientale. ”Il Rwanda ha obiettivi politici, economici e predatori”, ha dichiarato oggi Kabila, il cui governo ha chiesto all’Onu l’imposizione di sanzioni contro il governo del presidente rwandese Paul Kagame. Kigali ha però sempre smentito l’invio di truppe, accusando la missione dell’Onu (Monuc) di non ”avere prove” della presenza di forze ruandesi al confine. Ma minaccia l’intervento armato contro i ribelli hutu, rifugiatisi nel paese e accusati di aver preso parte al genocidio che nel 1994 costò la vita a circa 800mila tra tutsi e hutu moderati.

Secondo l’Afp, scontri armati si sono già verificati nel Nord Kivu, a 150 km da Goma, costringendo alla fuga migliaia di civili. Ieri, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha rivolto un appello al Ruanda perchè desista dall’intraprendere un’azione militare contro la Repubblica democratica del Congo. Il segretario generale Kofi Annan si è detto molto ”preoccupato” per il rischio di un nuovo conflitto nella regione dei Grandi Laghi, già teatro di violenti scontri, genocidi e guerre civili.

Le preoccupazioni sono dovute anche alla scarsa presenza di caschi blu nella regione: nonostante il Consiglio di sicurezza abbia autorizzato l’ampliamento della missione di peacekeeping da 10mila a 16mila truppe, i responsabili della Monuc avvertono che ne servirebbero 50mila per far fronte ad un nuovo conflitto per lo meno sorprendente dopo che il 20 novembre, i Paesi dell’intera regione, compreso il Rwanda, avevano firmato a Dar es Salaam una dichiarazione per “la pace, la sicurezza, la democrazia e lo sviluppo” nell’Africa dei Grandi Laghi.

Come nel 1996 e nel ’98, il Rwanda ha nuovamente protestato contro la presenza di genocidari su suolo congolese, minacciando di penetrare in Rdc per motivi di sicurezza. Un’argomentazione che agli dei più non regge di fronte agli interessi geostrategici che spingono le autorità rwandesi a mandare i suoi soldati in Congo-Kinshasa per sfruttare le immense ricchezze minerarie del Paese. Per i sostenitori di Kigali, la presenza dei genocidari alle porte del Rwanda simboleggiava la sconfitta della politica di disarmo volontario degli estremisti hutu pronato da oltre due anni dalle Nazioni Unite.

Di fronte alla debolezza strutturale dell’onu, si tratta ora di capire che tipo di pressioni diplomatiche Stati Uniti, Belgio e Gran Bretagna eserciteranno su Kabila e il presidente rwandese Paul Kagame. Quest’ultimo può solitamente contare sull’appoggio di Washington e Londra, mentre fino ad un periodo recente, Jospeh Kabila poteva contare sul beglio attraverso Louis Michel, ex ministro degli affari esteri belga e ora Commissario europeo per lo sviluppo. Ma con l’arrivo di Karel De Gucht alla poltrona degli esteri, la politica estera belga sembra, almeno a parole, aver cambiato direzione con un’apertura decisa a Kigali.

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