Politica

Il Comune discrimina, ma il ricorso è impossibile

Lo straniero escluso dagli incentivi? Il terzo settore può citarlo in giudizio. Ma solo in teoria: perché c'è una norma che...

di Francesco Dente

C’è pure il parcheggio gratis. Le giovani coppie che si aggiudicheranno gli sgravi e i contributi a fondo perduto potranno contare anche sul posto riservato sotto casa. A una condizione, però. Che siano italiani e che almeno uno dei coniugi risieda da almeno tre anni in città: Alzano Lombardo.
Questo del paesino della Bergamasca è solo l’ultimo provvedimento discriminatorio nei confronti di immigrati. La giunta leghista, per contrastare lo spopolamento del centro cittadino, ha previsto un pacchetto di incentivi riservato a chi si è già sposato da due anni o conta di farlo entro un anno. Purché, precisa la delibera, siano cittadini italiani. Gli stranieri, insomma, non ci provino neanche. Ultimo episodio ancora per poco, probabilmente. Sempre più Comuni o Regioni, ad esempio il Friuli Venezia Giulia, introducono infatti restrizioni nell’accesso alle provvidenze sociali. La strada per gli immigrati, si tratti di bonus bebè o di alloggi popolari, è insomma in salita.
Una china non meno ripida per le associazioni di tutela degli stranieri. Sono costrette a remare contro le incertezze della normativa italiana e comunitaria in materia e gli immancabili bizantinismi. È il caso della competenza territoriale della magistratura a giudicare i ricorsi promossi dal terzo settore contro i provvedimenti ritenuti discriminatori. L’articolo 5 del decreto legislativo 215/03 riconosce la legittimazione attiva ad agire in giudizio alle associazioni e agli enti inseriti nel registro Unar (l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali). Alcuni tribunali però, ecco il bizantinismo, dichiarano inammissibili i ricorsi presentati dalle sedi territoriali delle associazioni nazionali. Ad esempio, l’istanza delle Acli provinciali di Varese contro un provvedimento del Comune di Morazzone. Solo la sede nazionale delle Acli di Roma, che è iscritta appunto nel registro Unar, può formulare la domanda giudiziale. Questo significa che i procedimenti contro i Comuni, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, devono essere giudicati nella Capitale.
«Non si può concentrare il contenzioso a Roma: è tutto più problematico», dice Antonio Russo, responsabile Immigrazione Acli. L’azione delle sedi locali delle grandi associazioni è fondamentale. Le piccole organizzazioni locali, nonostante siano iscritte nell’elenco Unar, non hanno risorse e competenze per affrontare i giudizi. Nella maggior parte dei piccoli Comuni, inoltre, non ci sono associazioni di difesa dei diritti degli stranieri. «Quando l’immigrato poi è vicino all’autorità locale, come accade nei paesini, non presenta ricorso perché teme ritorsioni», commenta Livio Neri, responsabile lombardo dell’Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione.

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