Formazione

Il compagno di banco

I numeri che documentano il successo di una legge che l’Europa guarda con ammirazione. Ma la realtà è diversa da quella che i numeri annunciano.. la parola a chi è sul campo

di Maurizio Regosa

La legge sarebbe buona. Forse ottima. Perché stabilisce insieme il principio generale (il diritto di ciascuno a una vera accoglienza nel sistema scolastico) e prevede, conseguentemente, le misure necessarie per realizzare l?inclusione delle differenze, delle difficoltà, delle disabilità. Il tutto partendo da un presupposto che dopo 30 anni può sembrare (ed è) all?avanguardia: le difficoltà non riguardano i singoli, ma l?intero gruppo che deve farsene carico, supportato da strumenti idonei ed efficaci.

Promossa nella teoria?

Non a caso sulla legge 517/1977, che ha riconosciuto il diritto all?integrazione scolastica delle persone disabili, i giudizi sono tutti positivi. La comunità scientifica, le associazioni dei diversamente abili, dei familiari, degli insegnanti: tutti concordano nel ritenere la sua approvazione un grande passo avanti e il sostegno un?opportunità potenzialmente di grande efficacia. Un?opinione per tutte, quella di Giovanna Di Pasquale del Centro Documentazione Handicap della cooperativa Accaparlante: «Dove si è rispettato lo spirito originale della legge si sono avute buone esperienze di integrazione. La presa in carico è stata davvero collettiva. Purtroppo però sono più numerosi i casi in cui questo non è avvenuto».

?bocciata nella pratica?

Sul piano della vita vissuta si scopre una pratica assai meno virtuosa. Ha prevalso un?applicazione accomodante, secondo la quale ci si è spartiti i compiti, negando il principio della presa in carico collettiva e affidandosi a una specialità tutta italiana: la delega. Così all?insegnante curriculare è toccata la classe, al professore di sostegno il diversamente abile. Scarsa sinergia. Poca collaborazione. Al loro posto una separazione anche fisica: in aula i normodotati, fuori (magari anche in corridoio) quelli con disabilità. Ovviamente non è cattiva volontà dei professori. A questa deriva hanno contribuito questioni strutturali e una diversa sensibilizzazione dei docenti. A cominciare dalla formazione e dal reclutamento. Sono stati parte del problema, debitamente aggiornati potrebbero essere parte della soluzione.

La formazione ad esempio è andata differenziandosi negli anni, con una certa confusione dei percorsi. «Oggi la comunità scientifica», spiega Italo Fiorin dell?Osservatorio nazionale sulle disabilità istituito presso il ministero della Pubblica istruzione, «è concorde nel ritenere che sarebbe opportuno un percorso universitario più consistente e dunque una formazione specifica sull’integrazione destinata a tutti gli insegnanti». «Fare in modo che tutti i professori, curriculari e non, seguano una formazione specifica sul sostegno vorrebbe dire», conferma Salvatore Nocera, vicepresidente Fish, «contrastare il meccanismo della delega, valorizzare la sinergia, responsabilizzare tutti al perseguimento di un comune obiettivo, visto che il sostegno è dato alla classe e non, come si crede, all?allievo diversamente abile».

L’integrazione, obiettivo comune

Allo stesso modo andrebbe affrontato l?aggiornamento, altra occasione utile per condividere una missione. Ma anche qui servono dei correttivi. «L?aggiornamento sul sostegno dovrebbe essere rivolto a tutti i professori e reso obbligatorio, mentre oggi è facoltativo. Questo vorrebbe dire estendere la rete dei soggetti interessati all?integrazione, mettendoli in condizione di perseguire un obiettivo comune con strumenti in parte simili», sostiene Nicola Quirico, presidente del Fadis – Federazione associazioni di docenti per l?integrazione scolastica. A questo riguardo è depositata in Parlamento (prima firmataria Katia Zanotti) una proposta di legge caldeggiata dalla Fish e che in cambio dell?obbligatorietà suggerisce un sistema di incentivi (non economici).

Combattere la discontinuità

Altro punto critico è il reclutamento, per Quirico «da sempre caotico». Come se non bastasse, spiega Imeria Prandi, a lungo preside in una scuola media, «c?è stato un uso strumentale del sostegno che è stato scelto perché consentiva di entrare più rapidamente nella scuola». Un briciolo d?opportunità colta al volo (come biasimarli?) dai giovani insegnanti. Il risultato è però che oltre il 50% dei professori di sostegno vive una condizione di precarietà, passa da una scuola all?altra di anno in anno e non può garantire quella continuità che per alunni disabili è assolutamente raccomandabile.Da qui le lamentele di alunni e genitori e la necessità di un intervento serio. Sul quale si discute anche all?Osservatorio. «Oltre che sulla certificazione dell?handicap (che deve dare una diagnosi funzionale all?integrazione), stiamo ragionando», aggiunge Fiorin, «sull?ipotesi di costituire un organico stabilizzato di professori di sostegno, basata sulla prevedibilità del bisogno». Diversa la proposta della Fish: attualmente un professore deve rimanere nel sostegno almeno cinque anni; senza istituire una classe di concorso specifica si dovrebbe allungare la durata dell?opzione a dieci anni e soprattutto si dovrebbero affidare incarichi corrispondenti alla durata del ciclo scolastico che l?allievo disabile sta compiendo. Più radicale Andrea Ricciardi del Sindacato famiglie italiane diverse abilità, che propone di separare fin dall?inizio le carriere, precisando: «Le disabilità sono molte, l?insegnante di sostegno, tanto più se lo studente segue un programma differenziato, svolge un compito centrale e non sono sufficienti le poche ore a disposizione».

Un sottobosco di disagio

Ma sicuramente per una integrazione di qualità si dovrebbe intervenire anche su altri fronti. Non è raro il caso di insegnanti di sostegno ai quali vengono affidati per il ?recupero? ragazzi extracomunitari che hanno difficoltà linguistiche o studenti con difficoltà nell?apprendimento non legate a cause sanitarie. E se è vero, come ricorda Prandi, che «la multiculturalità arricchisce», non pare corretto che le risorse destinate alla disabilità siano veicolate per affrontare altre questioni, per quanto importanti. Si tratta quindi di rivedere l?integrazione scolastica alla luce anche dei disagi ?altri? che andrebbero affrontati con nuovi strumenti: «nuove soluzioni» (Fiorin) da realizzare con «fondi supplementari» (Nocera).

Correttivi infine dovrebbero essere adottati per la scuola superiore, dove anche per via dell?innalzamento dell?obbligo scolastico continua a salire il numero degli studenti con disabilità. Secondo il ministero, sono 39.558 (+15% rispetto allo scorso anno scolastico e con una crescita imprecisata degli extracomunitari). Allievi seguiti da un numero esiguo di professori di sostegno: appena 2.131. «Alle superiori», commenta la Di Pasquale, «si amplificano gli elementi critici che si possono registrare negli altri ordini scolastici. Anche qui occorrono percorsi personalizzati, che dovrebbero avvalersi delle varie opportunità: borse lavoro, stage, tirocini. In generale, se c?è una discreta rete di servizi e un buon capitale sociale, l?integrazione riesce».

Per approfondire:
1977: Frisone, per me il sostegno era solo nell’aria
Scuole speciali? Non facciamone un tabù facciamole migliori

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