C’era una bella differenza tra Andrea Brambilla e il suo personaggio Zuzzurro. Il Commissario era un gran pasticcione, non riusciva a imbroccarne una nonostante i consigli del suo fido assistente Gaspare.
Andrea, invece, era uno che le azzeccava tutte. Un “artigiano della comicità” (così amava definirsi) intelligente e molto raffinato. Insieme al suo partner di scena
Nino Formicola erano la coppia più solida:
in quarant’anni di frequentazione, mai un tradimento. Avevano capito –e anche qui sta l’intelligenza- che
l’enorme consenso di pubblico nasceva dallo stare insieme, e da soli avrebbero dimezzato l’estro creativo. L’intervista qui di seguito risale al maggio 2012: erano
in scena al Teatro Manzoni con La cena dei cretini. Tutte le sere cadeva giù il teatro dalle risate. Tutte le sere
sold out. Chi scrive gli propose in quell’occasione di realizzare insieme un’autobiografia. Il titolo avrebbe potuto essere
I ragazzi irresistibili. Come la celeberrima commedia di
Neil Simon,
autore a loro molto caro. Il tempo, purtroppo, non è stato galantuomo con Andrea. Ma rimane la memoria, vivissima, dei loro sketch che hanno fatto ridere tutte le generazioni.
Dopo dodici anni riportate in scena La Cena dei Cretini, testo francese che ha avuto anche una fortunata versione cinematografica. Avete apportato delle modifiche rispetto alla vostra prima versione?
«Il testo è sempre attuale, non c'era bisogno di grandi modifiche. Le modifiche riguardano l'allestimento, la regia che stavolta cura Andrea e il cast. Quel che conta davvero è che l'abbiamo ripreso con lo stesso identico successo di 12 anni fa. E il divertimento del pubblico teatrale è la più grande gratificazione che possano avere due artigiani della risata come noi».
Cominciamo dagli esordi. Il vostro scopritore è stato il grande Enzo Trapani?
«Trapani e il programma-cult
Non stop sono arrivati in seconda battuta. Il primo scopritore in assoluto è stato
Bruno Voglino, che oggi a dire il vero è ricordato più come l’ “inventore” di Chiambretti:
alcuni dirigenti non credevano in noi, ma Voglino l'ha avuta vinta, ed è stata la nostra fortuna.
TV non ne abbiamo mica fatta tanta. È che abbiamo fatto televisione di qualità che rimane nel tempo, e i nostri sketch sono rimasti ben impressi nella mente del pubblico».
Lo sketch del Commissario e del suo assistente come è nato?
«È nato ai tempi del
Derby, un locale storico che ora non esiste più.
Proponevamo una sorta di parodia di un giallo, dal titolo Mistero e Foglie di Spinaci. Da lì poi abbiamo spostato lo sketch in televisione. La famosa frase
'Ce l'ho qui la brioche' noi l'abbiamo pronunciata poche volte, non volevamo che diventasse un tormentone perché non amiamo i tormentoni. Lo è diventato nostro malgrado».
Qual è il vostro programma televisivo a cui siete maggiormente legati?
«Senz'altro Emilio, un prodotto di grande qualità premiato anche da un enorme successo di pubblico. E la versione televisiva della pièce teatrale Andy e Norman, con cui riuscimmo a fare oltre tre milioni di spettatori su Italia1 (un risultato pazzesco, considerando che avevamo contro il film di Raiuno). Poi, come spesso capita, ci siamo affezionati anche ai nostri 'figli' meno fortunati. Ad esempio Dido Menica, una specie di Gioco dei 9 comico: era una gran bell'idea, ma non ci hanno dato l'opportunità di portarla avanti. Poi una striscia nel preserale che facevamo in Rai insieme a Carlo Pistarino. Il programma serviva per lanciare il Gratta e vinci. A dirlo oggi sembra incredibile, ma il programma fu chiuso perché il Ministero delle Finanze non credeva nelle potenzialità del Gratta e vinci».
Nell'ambiente di Zelig siete riusciti ad amalgamarvi perfettamente, vero?
«
Inizialmente eravamo un po’ spaventati perché non sapevamo come il pubblico 'alla Zelig' potesse accogliere i nostri sketch. La paura è svanita non appena abbiamo visto
l'entusiasmo pazzesco della gente in sala. Applausi che non finivano mai, davvero uno dei ricordi migliori della nostra vita artistica».
Voi avete conosciuto bene il Berlusconi imprenditore televisivo. Vi immaginavate una sua evoluzione politica?
«Non la immaginavamo, e francamente ne avremmo fatto pure a meno. Oltretutto abbiamo avuto la bella idea di litigare con lui proprio poco prima della sua discesa in campo. Brutta idea, perché avremmo tratto molti vantaggi professionali tenendocelo amico. Ai tempi in cui c'era Berlusconi in TV c'era un capo che decideva sulla vita e sulla morte dei programmi. Ora a Mediaset ci sono varie galassie di potere: ognuno ragiona con la propria testa, e il risultato è che non si riescono a fare più i bei programmi di allora».
Si sente dire spesso che gli autori televisivi sono spariti. È vero o è una diceria?
«Purtroppo è la verità. Gli autori si sono trasformati in redattori, figure che si limitano ad 'amministrare il traffico', non hanno un ruolo creativo. Programmi di successo come Il grande fratello e L'Isola dei famosi sono in mano a signori che non hanno idee. O se le hanno, se ne guardano bene dal proporle, perché sanno che verrebbero bocciate in partenza senza Appello.
Andrebbe fatto poi un discorso un po' più ampio, discutendo ad esempio del degrado della fiction italiana rispetto a certe meraviglie che si vedono all'estero. Siamo arrivati al paradosso che non solo gli autori italiani sono incapaci di inventare idee, ma addirittura arrivano al punto di copiare un'idea e rovinarla. Prendiamo ad esempio la nuova versione di Nero Wolfe: è rimasto qualcosa dell'ironia del testo di Rex Stout? E poi che senso ha Nero Wolfe a Roma? Visto che ci siamo, proponiamo Superman a Canicattì o a Cernusco sul Naviglio».
Per il futuro possiamo sperare in una nuova sfornata di autori?
«Di sicuro non da qui a breve. Ma siamo sicuri che arriverà quel momento in cui i pubblicitari diranno 'no grazie, noi questo obbrobrio di programma non ce la sentiamo di finanziarlo, perché il pubblico non lo seguirebbe'. E allora gli autori riappariranno, rivedremo una TV all'altezza del suo compito».
Progetti per il futuro, dopo La cena dei cretini?
«Abbiamo in cantiere
un progetto che ha a che fare con un signore che si chiama William Shakespeare. Forse azzardiamo troppo, però
non dimentichiamoci che anche Shakespeare è stato un comico. E allora, partendo da questo presupposto, non è poi così azzardata la nostra operazione».
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