Cultura

Il Comitato per l’Islam? Si è nascosto dietro al burqa

di Redazione

Doveva essere il laboratorio per trovare
soluzioni «giuste» a problemi «reali».
Per usare le parole di Maroni.
E invece finora si è parlato
solo di questioni che riguardano
qualche decina di personedi Lubna Ammoune
Si parla del futuro dell’Islam in Italia e lo si fa senza i diretti interessati. Oltre ad essere la più grande differenza rispetto alla precedente Consulta istituita dal ministro Pisanu e poi mantenuta da Amato, l’assenza di musulmani nell’attuale Comitato per l’Islam italiano è anche una grande anomalia. Il Comitato non intende raccogliere tra i suoi membri personalità rappresentative delle comunità musulmane presenti sul territorio nazionale, ma semplicemente degli esperti che fungano da consulenti. Il ministro Maroni, inaugurandolo, ha espresso la speranza di ricevere consigli per soluzioni «giuste» a problemi «reali», anche se non fossero gradite a questa o quella parte politica. Dato che la Consulta si era arenata soprattutto per problemi interni tra differenti correnti islamiche, la rinuncia alla rappresentatività è un sacrificio accettabile in vista di un lavoro più efficace.
Fino ad ora, tuttavia, l’unico parere espresso è stato quello a proposito del divieto del burqa e del niqab, in quanto alcune proposte di legge sono già a buon punto solo su questo tema. Paolo Branca, che è uno dei membri del Comitato, ha forti dubbi sulla legittimità e sugli esiti di disposizioni normative a proposito di una questione che si pone più sul piano antropologico e culturale che su quello giuridico. «Capisco», ha detto Branca, «che il clima generale che si è instaurato in Europa negli ultimi tempi ha favorito tale priorità rispetto a quella di altre ben più decisive problematiche».
Branca fa parte della sottocommissione che si occupa degli imam. Quella più numerosa. L’intento del gruppo di lavoro è quello di verificare se nella normativa vigente esistano già disposizioni che possano essere utilizzate anche dalle comunità musulmane, al pari delle altre, per poter avere dei ministri di culto riconosciuti o autorizzati senza subire discriminazioni, ma dando nello stesso tempo delle garanzie che tranquillizzino chi, per vari motivi, guarda a queste figure con timore.
Nel comitato ci sono altri due gruppi di lavoro: uno sulle moschee e uno sui matrimoni misti. Sono temi cruciali ma, a quanto pare, meno importanti del burqa, che, considerando il fatto che in Italia è indossato al massimo da un centinaio di donne, non è un’emergenza nazionale. Per quanto riguarda le moschee e i matrimoni misti, noi di Yalla Italia ci auguriamo che prevalga la tendenza a trovare soluzioni ragionevoli che portino presto a un quadro normativo che sblocchi finalmente una situazione troppo a lungo trascurata.
Diciamo questo in quanto un’esigenza importante e degna di un Paese democratico come la costruzione di una moschea decorosa a Milano, non è affrontata nel merito con la serietà necessaria. E non solo perché una moschea decorosa non fa rima con De Corato. Branca ci ha detto di aver fatto presente al Comitato che a livello locale sono già in atto varie forme di accordi sui vari temi e anche a proposito di questioni come quella della sepoltura in apposite aree dei defunti musulmani, ma teme che la politica centrale non intenda occuparsi delle cose che può demandare alle istituzioni periferiche. In alcuni casi ciò può risultare vantaggioso, in quanto il rapporto diretto tra amministrazioni locali e comunità del luogo smussa molti spigoli, ma almeno a livello di principio alcuni criteri non possono che venire dal governo nazionale, altrimenti si rischia una strumentalizzazione nella competizione elettorale e la caccia ai consensi basata sulla paura sarebbe uno squallido spettacolo che lascerebbe insoluti troppi problemi.

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