Non profit

Il collettivo fa ricchezza

Carlo Borzaga: «La sua teoria vale anche per l'impresa sociale»

di Giuseppe Frangi

La studiosa americana dimostra che la produzione di beni comuni possa essere garantita in modo più efficiente da istituzioni
non pubbliche né private.
È la teoria dei Commons, che se viene applicata ai produttori…
Se Muhammad Yunus, il teorizzatore del microcredito, era stato beffato dalla giuria di Stoccolma con un Nobel per la Pace e non per l’Economia, a Elinor Ostrom è andata invece meglio: la studiosa dei “beni collettivi” è addirittura la prima donna a ricevere il premio per l’Economia. Tra i suoi estimatori e conoscitori italiani c’è Carlo Borzaga, docente a Trento, presidente di Euricse, e direttore scientifico della rivista Impresa sociale. A lui abbiamo chiesto di presentare il pensiero della Ostrom e l’importanza che assume per chi progetta e lavora nella cooperazione.
Social Job: Il primo Nobel del dopo crisi premia un’economista del sociale…
Carlo Borzaga: La Ostrom se lo merita pienamente, il suo libro Governing the Commons credo sia il più citato in assoluto al mondo tra gli studiosi di economia. La Ostrom infatti introduce una intepretazione molto chiara e interessante, in cui si dimostra che la produzione di beni comuni possa essere garantita in modo più efficiente da istituzioni collettive. Quindi l’attribuzione di un diritto di proprietà ad una proprietà collettiva è un criterio vantaggioso.
SJ: Questo ha un nesso anche con il fondamento della cooperazione?
Borzaga: Elinor Ostrom ragiona più sugli “usi civici”, cioè le istituzioni degli appropriatori: coloro che utilizzano determinate risorse e le gestiscono attraverso organizzazioni non profit per evitarne l’ipersfruttamento. È una specie di mutualismo sull’uso delle risorse. È una risposta, la più coerente, alla cosiddetta “tragedia dei commons”: l’ipersfruttamento di alcune ricchezze naturali che portano a un impoverimento globale. È quanto accade quando ci sono risorse disponibili in apparenza senza limitazioni, il che determina il rischio che vengano iperutilizzate, e quindi distrutte. È una questione che tocca gli elementi fondamentali, come l’aria, l’acqua, le foreste.
SJ: Quali le soluzioni della neo Nobel?
Borzaga: Le soluzioni sono tre. O attribuire in maniera chiara i diritti di proprietà, in modo che tutte le parti poi trattino. L’altra soluzione è di dare la proprietà al pubblico; la terza strada, infine, è quella di attribuirle alla collettività secondo determinate regole che la stessa comunità si dà. L’esempio tipico in Italia è quello delle foreste, dove si distingue tra la proprietà, che è dei Comuni, mentre l’uso è in mano alla collettività. In Italia per anni si è cercato di ridurre queste proprietà collettive, per riportare in capo ai Comuni tutti i diritti dell’uso. Ci sono stati disegni di legge per tentare di abolire questa consuetudine. Che invece è molto radicata. Esemplare è il caso di Cortina. Quando ha fatto il referendum per aderire alla Provincia di Bolzano, uno dei pochi gruppi preoccupati per questo passaggio e che ha scritto al presidente della Provincia, Luis Durnwalder è stato quello per l’uso civico, perché per la gestione del territorio Bolzano non ha una legge sugli usi civici, e quindi temevano un passo indietro.
SJ: Ma qual è il nesso tra le teorie della Ostrom e l’impresa sociale?
Borzaga: La sua teoria si applica anche ai produttori, e quindi anche all’impresa sociale: che è un modo efficiente di produrre su base collettiva. Anche se nel caso dell’impresa la base è volontaria e quindi più circoscritta. La non profit produttiva è lei stessa una common, perché non è vendibile. In una cooperativa sociale si entra quando ci si lavora o se ne usufruiscono i servizi e si esce quando non la si utilizza più o si smette di lavorare per essa. Per questo è una common. Ma se osserviamo con attenzione, il numero di common sta aumentando nel mondo. Basti guardare al mondo informatico e di internet. Il caso tipico è Wikipedia: non paghi per utilizzarla e contribuisce a costruirla. Questo Nobel conferma che c’è un nuovo mainstreaming che sta emergendo e l’impresa sociale ne è parte a tutti gli effetti.


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